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En mi Mexico

Mag, 2001 ~ 3 Commenti ~ Written by admin

    Non sono ancora arrivato a metà del libro, “Sulla Strada” di Jack Kerouac, e comincio appena a rendermene conto. Qualche passo fuori dalla banca, ancora quasi inconsapevole… quasi che non abbia ben realizzato… mi guardo attorno, incredulo, poi mi fermo, all’improvviso cosciente: mi accorgo di esserci anch’io, per davvero, “Sulla Strada”. Tutte le emozioni che mi hanno animato leggendo golosamente le prime pagine, ora sono lì vive davanti a me, a chiedermi, tra il divertito e lo spaventato, come me la caverò da adesso in poi.

    Fino a questo momento è filata più o meno liscia. Tutto è accaduto per improvvisazione, ho agito e mi sono mosso per intuizioni, senza nessun programma, proprio come volevo che fosse, come improvvisata e casuale è stata anche la scelta del Messico. Sono arrivato a Cancun sei giorni fa, di venerdì, senza ancora sapere quasi niente di questo paese così attraente e misterioso. Siamo partiti io e il mio zaino, entrambi pronti a lasciarci trasportare dagli eventi su e giù per il Messico, a scoprirlo poco a poco, senza una guida né un itinerario, animati e guidati solo dalla voglia di conoscere. Il volo è stato stancante, con due scali, a Madrid e Miami, che hanno aggiunto altre lunghe ore d’attesa alle molte passate in aereo, tentando inutilmente di dormire, dopo una nottata insonne: come d’abitudine, nonostante i consueti ottimistici buoni propositi, quand’ero uscito la sera prima non avevo ancora preparato nulla, e rientrando a casa tardi, a poche ore dalla partenza, avevo fatto appena in tempo a fare una doccia e a raccogliere lo stretto indispensabile per passare i ventiquattro giorni di viaggio che mi attendevano, rovistando nervosamente per tutta la casa con i soliti tremendi dubbi che mancasse qualcosa, e ricontrollando con paranoica insistenza passaporto e soldi, già al sicuro in una comoda taschina di jeans fissata con due spille da balia all’interno dei pantaloni. Avevo con me poco meno di 300 dollari liquidi oltre al bancomat, che il funzionario della banca, perentorio, mi aveva consigliato di sostituire ai tradizionali travellers’ cheques cui ero abituato: «Dove deve andare? Messico, Guatemala, Belize? Si fidi, vada con il nostro bancomat internazionale, è l’ideale per viaggiare, è più sicuro, più comodo, e le permette di prelevare a qualsiasi ora in qualunque banca che esponga questo marchio; le assicuro che si troverà bene, ormai all’estero travellers’ cheques e denaro liquido non se li porta più nessuno!».

Lo zaino era gonfio, con tutto il necessario nel formato più piccolo e leggero che potessi trovare, e dalla tasca esterna (l’avevo sistemato lì per averlo a portata di mano già in aeroporto) spuntava lui, “Sulla Strada”, che finalmente avrei potuto leggere dopo averlo lasciato sulla mensola sopra il letto a dar mostra di sé per quasi un anno, da quando con un acceso entusiasmo avevo deciso di regalarmelo per il compleanno. Da allora è sempre rimasto lì, discreto, in attesa del suo momento, ad aspettare che le pagine potessero prendere aria, respirare dai miei occhi. Non era un libro da leggere a tempo perso, quello… di quei libri che si sfogliano la sera, stanchi di un’intera giornata, quando ogni volta si rileggono insistentemente le stesse quattro righe del giorno prima fino a che il sonno non vince inesorabile la sua battaglia con gli occhi, chiudendoli. No, questo andava letto tutto insieme, andava vissuto, consumato in pochi giorni, e come sapevo bene fin dal giorno dell’acquisto, non c’era momento migliore per stapparlo alla polvere della libreria che un viaggio come quello che stavo per fare. Non potrei giurarci, ma credo proprio sia stato il primissimo oggetto che ho preso quando ho cominciato a raccogliere tutte le cose da portare via con me.

    Uscire dall’aeroporto di Cancun mi ha fatto un effetto strano, ne sono uscito con la spiacevole sensazione che tutto mi sembrasse troppo consueto, c’era la solita confusione, le solite agenzie, le solite banche, i soliti tassisti che mi accerchiavano, e c’erano, inevitabilmente, i soliti personaggi armati dei loro stupidi cartelli tipo “Mr. Rossi”, mandati dagli alberghi ad accogliere i bravi turisti e a sancire per loro, con uno sgargiante sorriso, l’inizio del rassicurante soggiorno a cinque stelle, dove mai niente è lasciato al caso. Come ogni volta m’è venuta voglia di andargli incontro spacciandomi per la persona che stavano aspettando… «Salve, sono il Sig. Rossi, questo è il mio bagaglio!» Chissà dove mi avrebbero portato… prima o poi dovrò provare a farlo davvero!

Mi sono allontanato di qualche metro svicolando tra i tassisti con una sventagliata di «No, gracias», da lì mi sono guardato intorno, respirando l’aria di quella prima città messicana senza quasi sentire nulla: non ho vissuto l’eccitazione delle altre volte, quella che immancabilmente mi si aggrappava allo stomaco, stringendolo, e che poi mi saliva nella testa con una raffica di pensieri, anch’essi ebbri del viaggio. Ho pensato che quell’indifferenza fosse dovuta soltanto alla stanchezza, lo speravo, ma lo stesso ne ero deluso, e mi sono detto che se quello fosse rimasto il mio stato d’animo per il resto del viaggio, sarebbe stato l’ultimo. C’è voluto poco, poi, per capire che non era così.

Mi sono avvicinato a un ragazzo che avevo visto al check-in nell’aeroporto di Roma, come me si stava guardando attorno spaesato, con il suo zaino sulle spalle, e gli ho chiesto se avesse avuto idea di dove andare: era ancora pomeriggio, io volevo trovare una sistemazione tranquilla per la prima notte, riposare, e dal giorno seguente iniziare a capire in che posto fossi arrivato, iniziare a conoscere il mio Mexico. Il ragazzo si chiamava Luca, neppure lui aveva meta né itinerario, ma aveva con sé una guida e dei consigli di qualche amico che era stato in quelle zone prima di lui: tutte le indicazioni che aveva consigliavano di muoversi da Cancun, e lo consigliava anche il buongusto estetico, dal momento che, almeno in quella parte vicino l’aeroporto, non c’era altro che un’accozzaglia sterminata di albergoni che si contendevano il primato per luci, forme e colori che meglio colpissero l’occhio dei turisti. Odiavo questo genere di parchi dei divertimenti così artefatti: avevano costruito un Messico riprodotto ad arte per i turisti ma inaccessibile a molta della gente che viveva lì. Ma cos’è un paese senza la propria gente? Quello che sono venuto a cercare è il Messico dei messicani, non quello da depliant turistico. Ho sfogliato la guida di Luca sperando di cogliere qualche spunto utile per incamminarmi subito, tuttavia le destinazioni più interessanti erano troppo lontane da raggiungere in serata, soprattutto non avendo alcuna cognizione dei trasporti locali, così alla fine abbiamo deciso di muoverci insieme per andare a Isla Mujeres, che è sembrata essere un buon compromesso: vicina, impreziosita da un bellissimo nome, e garantita dalla guida che prometteva deliziose spiagge. Siamo arrivati al porticciolo e da lì abbiamo preso il primo traghetto che ci ha sbarcato all’ “Isola delle Donne”, la cui denominazione derivava dalle moltissime statuette di figure femminili che i colonizzatori spagnoli avevano trovato al loro arrivo. L’isola si è presentata bene, sicuramente turistica ma non troppo snaturata, e in questi giorni neanche tanto affollata, giacché siamo ancora in bassa stagione. Abbiamo preso una stanza doppia per dividerci le spese, e dopo una doverosa doccia siamo usciti a mangiare qualcosa e a fare un giro in centro, dove lui ha comprato un po’ d’erba prima di rientrare in albergo; l’idea era di uscire più tardi per andare in qualche locale, ma poi abbiamo cominciato a fumare e a chiacchierare sdraiati sui letti, eravamo stremati, e abbiamo finito per non muoverci più.

Sono state tante le coincidenze del nostro incontro: Luca abita in un paesino della mia zona, praticamente ad appena qualche chilometro da casa mia; anche lui improvvisamente, solo pochi giorni fa, ha deciso di partire ed è subito andato a fare il biglietto, e in più, oltre ad aver volato con me all’andata per Cancun, lo ritroverò, tra poco più di due settimane, sul mio stesso aereo di ritorno da Città del Messico. Abbiamo parlato tutta la sera, di noi, dei nostri occhi sul mondo, con tutti i discorsi immancabilmente legati alla cocente passione per i viaggi, e com’era inevitabile abbiamo finito per alternarci in racconti di luoghi, persone e storie che abbiamo vissuto in giro per il mondo: lui è stato due volte in Thailandia, prima per sei mesi e successivamente per altri due, ed è stato anche da solo in India, sempre per un paio di mesi, e questa è la sua prima avventura americana. Su di me l’Asia ha sempre esercitato un gran fascino, soprattutto l’India, che tra i miei viaggi ho sempre atteso come una tappa fondamentale, quasi un punto di arrivo, e che finora ho rinviato perché ancora non mi sentivo pronto ad affrontarla, almeno non da solo. Non conosco gli orientali, ma l’immagine che ne avevo era di gente estremamente riservata, fin quasi alla diffidenza, cosa che Luca ha smentito con decisione, stimolando la mia curiosità con aneddoti entusiastici sull’ospitalità e la bontà delle genti asiatiche, mentre io gli raccontavo delle mie precedenti esperienze latinoamericane, della vitalità di Cuba, dei paesaggi del Cile, dei villaggi venezuelani, e di cosa mi legasse con tale intensità a tutta quella gente. Ci siamo addormentati esausti verso le quattro di mattina, sfiniti da un’interminabile giornata che per noi, con il cambio del fuso, era durata trentadue ore.

Quando il caldo ci ha svegliati, siamo scesi in spiaggia, dove abbiamo trovate mantenute tutte le promesse della guida: c’era tutto quanto si potesse chiedere alla miglior spiaggia tropicale, dal mare calmo e limpido alla finissima sabbia bianca, alle invitanti palme di cocco che, a pochi metri dall’acqua, riparavano dalla calda presenza del sole. Dopo qualche ora piacevolmente spesa tra il mare e le passeggiate nei colorati vicoli del centro, ho recuperato le mie cose e sono andato al porticciolo per tornare a Cancun e iniziare da lì ad avviarmi verso Merida, verso quel Messico più autentico che già mi stava ad aspettare. Ho Lasciato Luca sull’isola, si sarebbe diretto poco dopo alla volta di Playa del Carmen, una località turistica considerata il paradiso dei divertimenti, una specie di Rimini messicana, e ci siamo salutati dandoci appuntamento per il volo di ritorno. L’ho ritrovato ancora più tardi, che arrivava alla stazione degli autobus di Cancun mentre stava per partire il mio pullman diretto alla città maya di Chichèn Itzà, la zona archeologica più visitata di tutto il Messico, che ho visto all’indomani, di buon mattino, dopo aver passato la notte in una pensione poco distante dalle rovine.

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