• Home
  • Io e i miei viaggi
  • Ma cosa ci faccio qui?
  • Frasi & Aforismi
  • Pensieri & Poesie
  • E-book & Contatti

Indiario

Ago, 2005 ~ Lascia un commento ~ Written by admin

    «No, no, niente da fare, i prezzi sono tutti molto alti per il mese d’agosto. Le ho provate tutte, ma non si trovano voli per tutto il sud-est asiatico a meno di 1.200 euro. Tu invece quanto volevi spendere?»

«Beh… non quella cifra: so bene d’essere arrivato all’ultimo minuto, ma speravo lo stesso di trovare qualcosa a un prezzo inferiore, 800, 850 euro. Se è così, per quest’estate rimango in Europa, mi sa che l’Asia dovrà aspettarmi ancora per un po’. Pazienza. Ma… già che ci siamo, tanto per sapere, l’India quanto sarebbe costata?»

«Ora vediamo, te lo dico subito, ma più o meno saremo lì…»

Il tempo di guardare qualche schermata al computer, e poi: «Ma che fortuna che hai, c’è un volo per Delhi proprio a 850 euro! Te lo blocco.»

Ormai non potevo più dire nulla, m’ero fregato con le mie stesse mani!

    L’India… non avrei mai pensato di poterci andare così presto, da solo. L’India per me era sempre stata un sogno, un punto d’arrivo, la mia prova di maturità. Tutte le mete raggiunte prima erano state quasi uno studio, una preparazione a quell’unico grande obiettivo. Finora me l’ero anche cavata egregiamente a girare da solo, ma avevo fatto viaggi più facili: in ogni nuovo paese del Mediterraneo, del Nord Europa, o anche d’America, ero sempre giunto con un’idea, seppur vaga, di cosa avrei potuto trovare, di come dovermi rapportare con la gente, perché le loro radici culturali, anche se distinte, erano generalmente assimilabili alle mie, o avevano comunque qualcosa di familiare. Tutto l’Oriente, invece, fin dove non mi ero ancora mai spinto, era sempre stato ai miei occhi una misteriosa e seducente incognita: mi rendevo conto di dovermi confrontare con realtà nuove che non avevo mai avvicinato prima, con abitudini e tradizioni che non conoscevo né probabilmente ero in grado di comprendere, con modi di pensare che mi erano completamente estranei, e finora queste preoccupazioni mi avevano trattenuto dall’avventurarmi in quell’area, nonostante le rassicurazioni dei tanti altri girovaghi con cui mi era capitato di parlarne, che in più occasioni avevano nutrito il mio desiderio con avvincenti racconti infarciti di luoghi, personaggi e situazioni di memorabile intensità. L’India, poi, era ancora una storia a parte, ci avevo pensato tante volte, l’avevo sognata: andare lì da solo sarebbe stato in assoluto il mio viaggio più eccitante, ma nello stesso tempo m’intimoriva ancor più degli altri stati asiatici. Mi sentivo come uno studente impreparato che, finché può, rinvia l’esame più impegnativo.

La regione indiana era una meta dal fascino enorme, illuminante, era la terra del “terzo occhio”, l’occhio della mente: un paese ricchissimo di cultura, di spiritualità, che aveva visto nascere hinduismo e buddhismo, e che anche in tempi più recenti era rimasta un modello inimitabile, conservando inalterate tutte le sue attrattive, seguitando a influenzare intere generazioni, com’era stato per il movimento psichedelico degli anni ’60, e ispirando un’infinità di altre storie che mi avevano appassionato nel tempo. Insieme a quest’India ammaliante, suggestiva, e alla formidabile nazione dal sorprendente sviluppo economico e tecnologico degli ultimi anni, continuava però a essercene un’altra, quella della miseria, della disperazione, ed era quella che maggiormente alimentava le mie inquietudini, e con esse la mia titubanza. Ero già stato in aree molto povere, ma quello che avevo sentito sull’India andava oltre la povertà: avevo letto e udito testimonianze sconvolgenti di lebbrosari, di gente per le strade che viveva di nulla, di bambini che tendevano la mano per elemosinare solo qualche giorno di vita in più, e di altri, cui invece quella grazia non era concessa, che morivano sui marciapiedi, in un’indifferenza drammatica che forse non aveva alternative, e che rendeva quel dramma ancora più doloroso. Tutti questi aspetti insieme ne facevano un paese dall’impatto emotivo violento, esplosivo, dirompente, un paese che ti spoglia, che ti rende vulnerabile, che ti scava dentro, e non sapevo come avrei potuto reagire davanti a tutto ciò. E se avessi avuto bisogno di sfogarmi, di parlarne con qualcuno? Che rapporto avrei avuto con gli indiani? Sarei riuscito a farmi aiutare da loro per liberarmi dell’angoscia che inevitabilmente mi avrebbe minacciato?

Era un viaggio difficile da fare da soli, ne ero perfettamente cosciente, e avevo sempre pensato di doverci andare con qualcun altro, ma un compagno di viaggio con cui dividere l’India non era facile da trovare, anche per come io ero abituato a viaggiare; l’alternativa era arrivarci per tappe, facendo prima un altro viaggio in Oriente, un ultimo viaggio di preparazione, e poi, se avessi superato bene la prova, sarei stato pronto per l’India. Avevo scelto la seconda soluzione, volevo cominciare subito, e con queste precise intenzioni ero entrato quel giorno nell’agenzia viaggi: un qualunque posto nel sudest asiatico andava bene, avevo detto, bastava trovare un biglietto a un prezzo ragionevole. Qualcosa poi mi ha spinto a insistere, a chiedere dell’India, solo per curiosità, sicuro che tanto i prezzi sarebbero stati gli stessi… e sono rimasto incastrato!

Istantaneamente ho avuto l’impulso di tirarmi indietro, volevo dirle di lasciar stare, ma non sono riuscito a spiccicare parola: ero pietrificato, in testa mi passava di tutto, stentavo a credere di avere in mano un biglietto per il posto che desideravo di più al mondo, lo stesso posto, l’unico, che per il momento avevo tassativamente escluso tra tutte le innumerevoli possibili destinazioni. In quei brevi attimi di silenzio incerto, però, iniziavo già a pensare che forse era meglio tacere, che andava tutto bene, che se era successo, in qualche modo era giusto che andasse così. Sebbene non avessi mai creduto molto nel destino, convinto com’ero che ciascuno potesse scriverselo con le proprie scelte, stavolta sentivo di dover assecondare gli eventi, dovevo lasciar andare le cose in quella maniera, era tempo di mettere da parte le paure e partire, per provare finalmente a rispondere alla solita insistente domanda che mi frullava ininterrottamente nel capo: “come ci si sente a realizzare un sogno?” Il viaggio in India poteva indicarmi la risposta, ne ero sempre più certo.

    Tornato a casa, mi sono immediatamente incollato al computer per cercare notizie utili su internet, e per cominciare sono andato sul sito ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un buon esordio, subito una notizia incoraggiante: era appena scoppiata un’epidemia di meningite, proprio a Delhi, dove sarebbe arrivato il mio aereo. I casi non erano ancora moltissimi ma l’incidenza dei decessi era già drammaticamente alta, ed era indicato tra gli avvertimenti che la categoria più esposta al contagio erano i giovani tra i 16 e i 30 anni. Volendo essere ottusamente pignoli potevo tranquillamente considerarmi soggetto a basso rischio, i trent’anni li avevo già compiuti, ma non credo che i batteri della meningite avessero l’abitudine di controllare la data di nascita sul passaporto, e se anche l’avessero fatto, chi mi garantiva che non andassero in confusione con il conto degli anni e che non mi contagiassero solo per un banale errore di calcolo? Per quanto ne sapevo io, i batteri della meningite non dovevano brillare d’intelligenza, né avevano fama di cavarsela particolarmente bene con la matematica.

Ho iniziato subito ad avere i primi grossi dubbi, e non era quello l’unico problema di cui doversi preoccupare: il mese d’agosto, ancora in piena stagione monsonica, era uno dei peggiori per visitare l’India. Le piogge insistenti si abbattevano con violenza allagando intere città e provocando spesso disastrose alluvioni lungo i maggiori corsi d’acqua, e per di più quel caldo così umido, oltre a rendere l’aria irrespirabile con temperature che abitualmente sfioravano i quaranta gradi, creava le premesse ideali per far impazzire d’allegria e di brio anche la zanzara più pigra del mondo, che probabilmente, rivitalizzata da un ambiente tanto benevolo, non avrebbe trovato di meglio da fare che brindare all’evento con delle grosse tracannate di sangue, fino a ubriacarsene. Da quanto mi era stato raccontato, nelle rare pause tra un acquazzone e l’altro si formavano improvvisamente delle sinistre, sconcertanti e smisurate nuvole di zanzare assaltatrici, e il vero timore, più che per il fastidio del prurito, era dovuto al rischio di contrarre la malaria, la cui diffusione, ovviamente, raggiungeva l’apice proprio in quel periodo dell’anno. In particolare, quella del 2005, stava diventando per l’India un’estate maledetta, la violenza dei monsoni si stava rivelando devastante come non mai, soprattutto nelle regioni centrali, nella zona intorno a Mumbai, dove le alluvioni si erano già lasciate dietro più di mille vittime: un’emergenza assoluta che minacciava di degenerare ulteriormente per le difficoltà nei soccorsi e per il conseguente rischio di nuove e pericolose epidemie.

Pareva che tutto si volesse mettere a contrastare i miei progetti, vedevo ostacoli ovunque, e di nuovo, per un momento, sono stato quasi sul punto di rinunciare, di mandare tutto all’aria e soffocare ancora quel sogno, rinviandolo nuovamente, ma non potevo perdere quell’occasione, non stavolta, non con il biglietto già in tasca. C’era poi da considerare un altro fattore, per niente trascurabile, che giocava a mio favore: avevo una tradizione più che discreta con le condizioni atmosferiche, anzi, a essere onesto, di solito in viaggio potevo contare su una fortuna piuttosto spudorata, ed ero pronto ad accettare anche la sfida dei monsoni.

La prova più evidente della mia buona sorte si era manifestata in terra scandinava: nel ’95 ero stato in giro tra Svezia e Norvegia, con una bella scorta di maglioni pesantissimi, che però non ho mai avuto occasione di sfoggiare perché ho trovato un clima straordinario, un caldo e un sole degni quasi dei tropici. Un paio d’anni dopo sono tornato da quelle parti, stavolta per visitare la Finlandia, e, colto ancora di sorpresa, mi sono trovato a commentare l’inatteso bel tempo con alcuni ragazzi di Helsinki. Gli dicevo che l’idea che gli italiani avevano del loro clima era totalmente sballata: le temperature scandinave della stagione estiva, anche quell’anno, sembravano realmente invidiabili. Mi hanno risposto che il mio giudizio era affrettato, normalmente non si stava così bene, ma io avevo avuto la fortuna d’esserci capitato in un’estate davvero speciale: era la seconda più calda di tutto il secolo. La prima, già passata alla storia, era stata quella, indimenticabile, del ‘95! Certo, il clima indiano era un avversario più ostico, al cospetto del quale le probabilità di far valere le mie fortune meteorologiche si sarebbero ridimensionate drasticamente, tuttavia, con quei miei presupposti, non potevo essere del tutto pessimista.

Pages: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22

Posted in Uncategorized
Twitter • Facebook • Delicious • StumbleUpon • E-mail
←
→

Non ci sono commenti

Rispondi Annulla risposta

Il tuo indirizzo e-mail non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono indicati con *

*

*

CAPTCHA Image
Refresh Image

*

  • Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Epicuro

  • En mi Mexico
  • Brasiliando
  • Indiario
  • Argentina “barbara”
  • Osservazioni Cinetiche
  • Made in Japan
  • Immaginario d’Irlanda
  • Sahariana
Indiario
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza
Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
RicoRico.it  Considerazioni di viaggio