Da quando ho iniziato a fantasticare sulla possibilità di dedicarmi al viaggio a tempo pieno, di lasciare tutto e partire per vivere una vita errante, a vagabondare in giro per il mondo, ogni volta che mi capitava di leggere qualche frase che mi colpisse, qualche citazione illuminante che mi aiutasse a orientare i pensieri in quella direzione, cercavo sempre di tenerla a mente, qualche volta me l’appuntavo da qualche parte perché non la dimenticassi.
Molte di quelle frasi erano, più o meno esplicitamente, un incoraggiamento all’azione, a non lasciarsi seppellire dall’abitudine, a riprendersi prepotentemente la propria vita.
Da qualche frase che mi capitava di leggere casualmente, ho poi preso l’abitudine di ricercarle, raccogliendo tutte le cose che mi piacevano di più, brani, poesie, frasi e aforismi sul viaggio e su ciò che può spingere a viaggiare, sul desiderio di libertà, di conoscenza, sulla curiosità, sul piacere della scoperta, e poi anche e soprattutto citazioni e storie di mare. Molte sono tratte da classici, citazioni degli autori più celebri, altre provengono da fonti decisamente più prosaiche; qualcuna, poi, può apparire più banale, altre più profonde… io ho messo tutte quelle che per qualche motivo ho trovato più significative.
Il lavoro che ne è venuto fuori è qui, ordinato per autore. Ho passato molto tempo a cercare, ma alla fine credo di aver fatto una selezione di tutto rispetto, e questo mi sembra il posto giusto in cui condividerla.
Poi, già che c’ero, e me ne sia perdonata l’impertinenza, mi sono permesso di aggiungere anche un paio di frasi prese qua e là tra i racconti di questo sito. Anche queste sono in ordine alfabetico, al nome Rico Rico.
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Molte volte, quando mi guardo allo specchio mi domando se sono un uomo di pensiero, di conoscenza, di erudizione, in una parola di intelligenza, o se, al contrario, la mia prima vocazione per il mare non sia la più vera ed io, in fondo, non sia che un uomo d’azione. Per lo meno, c’è una cosa che mi è insopportabile: la routine.
Agostinho da Silva
…e a che serve una casa se in essa non ti senti sicuro, se vieni trattato come un paria proprio nel luogo che dovrebbe essere il tuo rifugio?
Chiudere un’anima in uno scatolone buio non è giusto. E’ quello che ti fanno quando muori, ma finché vivi, finché ti resta dentro un po’ di energia, hai l’obbligo verso te stesso e verso tutto quanto c’è di più sacro al mondo di non cedere a queste umiliazioni.
Essere vivi voleva dire respirare aria; respirare aria voleva dire aria aperta…
Paul Auster
Ci sono cose che non puoi vedere
con gli occhi:
devi vederle con il cuore
e questo non è facile.
Se ritrovi lo spirito della giovinezza
dentro di te,
con i ricordi di adesso e i sogni di allora,
potrai farlo rivivere
e cercare una strada nell’avventura
che chiamiamo vita,
verso un destino migliore.
E il tuo cuore non sarà mai stanco
né vecchio…
Sergio Bambarén, Il Delfino
Ed è qualcosa da cui
non puoi scappare… il mare…
Ma soprattutto il mare chiama.
…non smette mai, ti entra dentro,
ce l’hai addosso, è te che vuole.
Puoi anche far finta di niente,
ma non serve,
Continuerà a chiamarti
…senza spiegare nulla,
senza dirti dove,
ci sarà sempre un mare,
che ti chiamerà…
Alessandro Baricco
Non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo… salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. È lì che salta tutto, non c’è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non puoi nemmeno immaginare.
Alessandro Baricco, Oceano mare
Sensazione meravigliosa. Di quando il destino finalmente si schiude, e diventa sentiero distinto, e ormai inequivocabile, e direzione certa. Il tempo interminabile dell’avvicinamento. Quell’accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di consegnarsi al destino. Quella è un’emozione: Senza più dilemmi, senza più menzogne. Sapere dove. E raggiungerlo. Qualunque sia, il destino.
Alessandro Baricco, Oceano mare
Si sentiva il mare, come una slavina continua, tuono incessante di un temporale figlio di chissà che cielo. Non smetteva un attimo. Non conosceva stanchezza. Non conosceva clemenza. Se tu lo guardi te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio… Tutto quell’infinito diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco. Non lo spegni, il mare, quando brucia la notte.
Alessandro Baricco, Oceano mare
Posseduto da una smania che mi scombussolava lo spirito, colpito dai richiami degli dei della strada, incapace di intraprendere alcunché, rammendai i miei calzoni strappati, cambiai il cordone del cappello […] e cedetti a un altro la mia dimora.
Basho
Uomo libero, tu amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima
Nello svolgersi infinito della sua onda,
E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
Si distrae a volte dal suo battito
Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
Siete entrambi tenebrosi e discreti:
Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
Vi combattete senza pietà né rimorsi,
Talmente amate la carneficina e la morte,
O eterni rivali, o fratelli implacabili!
Charles Baudelaire, L’uomo e il mare (1857)
Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l’universo è pari al suo smisurato appetito.
Ah! com’è grande il mondo al lume delle lampade!
Agli occhi del ricordo com’è piccolo il mondo!
Un mattino partiamo, il cervello in fiamme,
il cuore gonfio di rancori e desideri amari,
e andiamo, al ritmo delle onde, cullando
il nostro infinito sull’infinito dei mari:
c’è chi è lieto di fuggire una patria infame;
altri, l’orrore dei propri natali, e alcuni,
astrologhi annegati negli occhi d’una donna,
la Circe tirannica dai subdoli profumi.
Per non esser mutati in bestie, s’inebriano
di spazio e luce e di cieli ardenti come braci;
il gelo che li morde, i soli che li abbronzano,
cancellano lentamente la traccia dei baci.
Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s’allontanano come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire,
e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo!
I loro desideri hanno la forma delle nuvole,
e, come un coscritto sogna il cannone,
sognano voluttà vaste, ignote, mutevoli
di cui lo spirito umano non conosce il nome!
Imitiamo, orrore! nei salti e nella danza
la palla e la trottola; la Curiosità, Angelo
crudele che fa ruotare gli astri con la sferza,
anche nel sonno ci ossessiona e ci voltola.
Destino singolare in cui la meta si sposta;
se non è in alcun luogo, può essere dappertutto;
l’Uomo, la cui speranza non è mai esausta,
per potersi riposare corre come un matto!
L’anima è un veliero che cerca la sua Icaria;
una voce sul ponte: «Occhio! Fa’ attenzione!»
Dalla coffa un’altra voce, ardente e visionaria:
«Amore… gioia… gloria!» È uno scoglio, maledizione!
Ogni isolotto avvistato dall’uomo di vedetta
è un Eldorado promesso dal Destino;
ma la Fantasia, che un’orgia subito s’aspetta,
non trova che un frangente alla luce del mattino.
Povero innamorato di terre chimeriche!
Bisognerà incatenarti e buttarti a mare,
marinaio ubriaco, scopritore d’Americhe
il cui miraggio fa l’abisso più amaro?
Così il vecchio vagabondo cammina nel fango
sognando paradisi sfavillanti col naso in aria;
il suo sguardo stregato scopre una Capua
ovunque una candela illumini una topaia.
Strabilianti viaggiatori! Quali nobili storie
leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare!
Mostrateci gli scrigni delle vostre ricche memorie,
quei magnifici gioielli fatti di stelle e di etere.
Vogliamo navigare senza vapore e senza vele!
Per distrarci dal tedio delle nostre prigioni,
fate scorrere sui nostri spiriti, tesi come tele,
i vostri ricordi incorniciati d’orizzonti.
Diteci, che avete visto?
«Abbiamo visto astri e flutti;
abbiamo visto anche distese di sabbia;
e malgrado sorprese e improvvisi disastri,
molte volte ci siamo annoiati, come qui.
La gloria del sole sopra il violaceo mare,
la gloria delle città nel sole morente,
accendevano nei nostri cuori un inquieto ardore
di tuffarci in un cielo dal riflesso seducente.
Le più ricche città, i più vasti paesaggi,
non possedevano mai gl’incanti misteriosi
di quelli che il caso creava con le nuvole.
E sempre il desiderio ci rendeva pensosi!
– Il godimento dà al desiderio più forza.
Desiderio, vecchio albero che il piacere concima,
mentre s’ingrossa e s’indurisce la tua scorza,
verso il sole si tendono i rami della tua cima!
Crescerai sempre, grande albero più vivace
del cipresso? – Eppure con scrupolo abbiamo
raccolto qualche schizzo per l’album vorace
di chi adora tutto ciò che vien da lontano!
Abbiamo salutato idoli dal volto proboscidato;
troni tempestati di gemme luminose;
palazzi cesellati il cui splendore fatato
sarebbe per i vostri cresi un sogno rovinoso;
costumi che per gli occhi son un’ebbrezza;
donne che hanno dipinte le unghie e i denti,
e giocolieri esperti che il serpente accarezza.» […]
Charles Baudelaire, Il viaggio
Il mare mi apparve; che era infinito e tranquillo. Era azzurro infinito, e nel lontano grandi strisce d’argento lo imbiancavano lunghe fino agli estremi orizzonti. La luce saliva dal mare, scendeva dal cielo, brillava nell’aria. Il mare era quieto e sicuro, solo un tremante margine di spuma sul lido tradiva il suo piacere di vivere. Azzurro e luce volavano sopra la terra. Il mare e il cielo respiravano luce e calore e ne inondavano il mondo. I miei occhi si riempirono di lacrime tenere. M’appoggiai allo spigolo di un muro. Ero nell’ombra, l’ombra del muro, che si stendeva fino a due passi da me stampata nera e diritta nella rena brillante: e oltre quella linea la rena continuava nella luce per un vasto spazio fino a un orlo di ghiaia dove finisce la terra. Perché io sostavo così dentro quell’ombra del muro, per questo il mare non mi aveva ancora veduto. Allora mi staccai dal muro e uscii all’aperto in mezzo a tutta la luce in faccia al mare. Ed ecco di colpo s’oscurò rabbrividendo il sole e un tremito scosse il mondo come un gran terremoto dell’aria; d’improvviso tutto fu grigio e tempesta intorno a me, ed era spaventevolmente sconvolta la faccia del mare. Una ruga enorme d’un tratto l’avea tutta solcata dalla riva all’orizzonte come una voragine torbida, e poi altre cento o mille rughe lo frantumarono; caverne si scavarono e montagne s’arrampicarono: tutto si riaccavallò il mare di acque immerse che lo sconquassavano schiumando con una gran rabbia in tutte le direzioni. Le onde si mescolavano in alto con le nubi e riempivano l’aria di grida terribili correndo fragorosamente a rovesciarsi sempre più cavernose e colleriche contro la spiaggia: l’aria era piena di gelo e la sbattevano i venti. Anche il cielo era gonfio di nuvole e rabbioso e nero, perché il cielo non è che la fronte espressiva del mare. Io fui subito molto contento che il mare mi trattava a quel modo. S’egli mi avesse accolto con indifferenza, o con una fredda e signorile cortesia come fa con certa gente, oppure – e ora confesso che questa era, fin dall’ora della mia partenza sul treno, il mio segreto timore – avesse addirittura finto di non riconoscermi, credo sarei morto dal dispiacere e dall’umiliazione. Invece il mare appena mi ebbe visto si corrucciò e m’aggredì con urli e minacciosi improperi, perché mi voleva ancora bene, come lui sa volere quando trova qualcuno che gli va a genio. Perciò il mio cuore si gonfiò di gioia a quell’accoglienza iraconda. Non alzai verso lui le braccia, per un mio vecchio pudore dei gesti fatti; e nemmeno gli dissi nulla: neppure una parola. Credo che gli sorrisi.
Massimo Bontempelli, 1925
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Jorge Luis Borges, I giusti
Se la nostra esistenza si svolge all’insegna della ricerca della felicità, forse poche cose meglio dei viaggi riescono a svelarci le dinamiche di questa impresa – completa di tutto il suo ardore e di tutti i suoi paradossi. Benché in maniera indiretta, infatti, i viaggi contengono una chiave di lettura del senso della vita che va oltre le costrizioni imposte dal lavoro e dalla lotta per la sopravvivenza; ciononostante raramente vengono considerati stimolanti sul piano filosofico poiché sembrano richiedere considerazioni di ordine eminentemente pratico. Veniamo così inondati di consigli sul ‘dove’, ma poco o nulla ci viene domandato circa il ‘come’ e il ‘perché’ del nostro andare. Eppure l’arte di viaggiare pone una serie di interrogativi nient’affatto semplici o banali, e il cui studio potrebbe modestamente contribuire alla comprensione di ciò che i filosofi greci indicavano con la bella espressione ‘eudaimonia’, ovvero felicità.
Alain de Botton, L’arte di viaggiare
Viaggiando ci avviciniamo a luoghi sconosciuti con umiltà, senza idee preconcette su cosa è interessante e cosa non lo è. Spesso irritiamo la popolazione locale piazzandoci su uno spartitraffico o in mezzo a un vicolo già angusto per ammirare quelli che sembrano particolari strani e di poco conto, e per colpa del tetto di un certo edificio governativo o di un’iscrizione su un muro rischiamo di farci investire dalle auto di passaggio. Lontano da casa persino un supermercato o un negozio di parrucchiere acquistano un fascino insospettabile. Contempliamo a lungo la grafica di un menu o la mise dell’annunciatrice televisiva, ci risvegliamo al senso della storia, prendiamo appunti e scattiamo fotografie.
A casa, invece, le nostre aspettative si atrofizzano. Siamo certi di aver già scoperto tutto quello che c’era da scoprire di un certo quartiere: è inconcepibile che un posto dove abbiamo vissuto per più di dieci anni possa offrirci alcunché di nuovo, no? In poche parole, l’abitudine ci ha resi ciechi.
Alain de Botton (2002)
Conosco delle barche che restano nel porto per paura che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto per non aver mai rischiato una vela fuori.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire hanno paura del mare a furia di invecchiare e le onde non le hanno mai portate altrove, il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.
Conosco delle barche talmente incatenate che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare per essere veramente sicure di non capovolgersi.
Conosco delle barche che vanno in gruppo ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po’ sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.
Conosco delle barche che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora, ogni giorno della loro vita e che non hanno paura a volte di lanciarsi fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.
Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto, ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche straboccanti di sole perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Conosco delle barche che tornano sempre quando hanno navigato. Fino al loro ultimo giorno, e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti perché hanno un cuore a misura di oceano.
Jacques Brel
Che la strada scorra sotto i tuoi piedi,
che il vento soffi sulla tua schiena,
che il sole ti riscaldi il viso,
che la pioggia cada dolcemente sui tuoi campi,
e, finché non ci rivedremo,
che Dio ti porti nel palmo della sua mano.
Brindisi irlandese nei pub per gli amici che devono partire
Ondeggia, Oceano nella tua cupa e azzurra immensità
A migliaia le navi ti percorrono invano;
L’uomo traccia sulla terra i confini, apportatori di sventure,
Ma il suo potere ha termine sulle coste,
Sulla distesa marina
I naufragi sono tutti opera tua,
E’ l’uomo da te vinto,
Simile ad una goccia di pioggia,
S’inabissa con un gorgoglio lamentoso,
Senza tomba, senza bara, senza rintocco funebre, ignoto.
Sui tuoi lidi sorsero imperi,contesi da tutti a te solo indifferenti
Che cosa resta di Assiria, Grecia, Roma, Cartagine?
Bagnavi le loro terre quando erano libere e potenti.
Poi vennero parecchi tiranni stranieri,
La loro rovina ridusse i regni in deserti;
Non così avvenne, per te, immortale e mutevole
Solo nel gioco selvaggio delle onde;
Il tempo non lascia traccia sulla tua fronte azzurra.
Come ti ha visto l’alba della Creazione,
Così continui a essere mosso dal vento.
E io ti ho amato, Oceano,
E la gioia dei miei svaghi giovanili,
Era di farmi trasportare dalle onde
Come la tua schiuma;
Fin da ragazzo mi sbizzarrivo con i tuoi flutti,
Una vera delizia per me.
E se il mare freddo faceva paura agli altri,
A me dava gioia,
Perché ero come un figlio suo,
E mi fidavo delle sue onde, lontane e vicine,
E giuravo sul suo nome, come ora.
Lord George Byron, Ondeggia Oceano (1812)
Il punto di fuga è quello da cui partono infinite linee: basta seguirle, per scoprire altrettante realtà, dimensioni, mondi. Non è solo un modo per fuggire, ma anche per capire quanto siano risibili le cose che ci sembrano assolute, se appena le guardiamo da lontano. E tornare, serve a riguardarle da vicino con occhi diversi.
Pino Cacucci, Punti di fuga
Quando il tuo battello
ancorato da troppo tempo nel porto
ti lascerà l’impressione ingannatrice
di essere una casa,
quando il tuo battello comincerà a mettere radici
nell’immobilità del molo,
prendi il largo.
E’ necessario salvare a qualunque prezzo
l’anima viaggiatrice del tuo battello
e la tua anima di pellegrino.
Dom Hélder Câmara
Non voltarti… perché vivere è come scalare le montagne:
non devi guardarti alle spalle, altrimenti rischi le vertigini.
Devi andare avanti, avanti, avanti…
Senza rimpiangere quello che ti sei lasciato dietro,
perché, se è rimasto dietro,
significa che non voleva accompagnarti nel tuo viaggio.
Giulia Carcasi, Ma le stelle quante sono
E un’aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva già dal mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante ci confondeva.
Giosué Carducci (1877)
Qualsiasi via è solo una via, e non c’ è nessun affronto, a se stessi o agli altri, nell’ abbandonarla, se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare…
Esamina ogni via con accuratezza e ponderazione. Provala tutte le volte che lo ritieni necessario.
Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda… Questa via ha un cuore?
Se lo ha, la via è buona. Se non lo ha, non serve a niente.
Carlos Castaneda
I miei cofanetti sono i gusci delle ostriche,
nei quali tengo le mie perle orientali;
per aprirli uso la marea,
chiave che spalanca
i gusci delle ostriche, dopodiché prendo
quelle perle orientali e faccio corone;
e indosso il semplice corallo
che arrossisce al contatto dell’aria.
Siedo a cantare sulle onde d’argento
e allora i pesci stanno ad ascoltare:
poi, sedendo su una roccia,
mi pettino i capelli con una lisca di pesce;
nel frattempo Apollo, coi suoi raggi,
me li asciuga dai rivoletti d’acqua.
La luce fa splendere la superficie dell’acqua
e fa uno specchio dell’immenso mare:
così quando nuoto in alto sulle acque,
mi vedo mentre scivolo giù;
ma quando il sole comincia a scottare
torno alle mie acque
e mi tuffo sino in fondo:
allora le acque scorrono sulla mia testa
in onde increspate, a cerchi concentrici,
e così io sono incoronata dalle acque.
Margaret Cavendish (1668)
Stamattina non sono di nessuna religione. Il mio dio è il dio dei viandanti. Se si cammina con abbastanza energia
probabilmente non si ha bisogno di nessun altro dio.
Bruce Chatwin, Patagonia
La voce del mare è seducente;
senza fine, sussurra, frastorna, mormora,
invita l’anima a cercare incantesimi in abissi di solitudine,
a perdersi nei meandri della contemplazione interiore.
La voce del mare parla all’anima.
Il contatto con il mare è sensuale,
avvolge il corpo nel suo abbraccio morbido, intimo.
Kate Chopin, Il Risveglio
Quando si viaggia si sperimenta in maniera molto più concreta l’atto della Rinascita. Ci si trova dinanzi a situazioni del tutto nuove, il giorno trascorre più lentamente e, nella maggior parte dei casi, non si comprende la lingua che parlano gli altri. E’ proprio quello che accade a un bambino appena nato dal ventre materno. Con ciò si è costretti a dare molta più importanza alle cose che ti circondano, perché da esse dipende la sopravvivenza. Si comincia a essere più accessibili agli altri, perché gli altri ti possono aiutare nelle situazioni difficili. E si accoglie qualsiasi piccolo favore degli dei con grande gioia, come se si trattasse di un episodio da ricordare per il resto della vita. Nello stesso tempo, poiché tutte le cose risultano nuove, se ne scorge solo la bellezza, e ci si sente più felici di essere vivi.
Paulo Coelho
[…] Lieve la brezza, bianca la spuma volava,
Mentre la scia ci seguiva:
Per primi noi irrompevamo
In quel mare silenzioso.
Cadde la brezza e caddero le vele;
Fu triste quanto più non si può dire;
Parlavamo solo per rompere
Il silenzio dal mare!
Tutto in un torrido cielo di rame
Un sole di sangue, a mezzogiorno,
Si ergeva a picco sull’albero maestro,
Non più grande della luna.
Giorno dopo giorno, giorno dopo giorno,
Restammo bloccati, non un soffio di vento, non un moto;
Fermi come nave dipinta
Sopra un oceano dipinto.
Acqua, acqua da tutte le parti;
e l’intavolato della nave si contraeva per l’eccessivo calore;
acqua, acqua da tutte le parti; e non una goccia da bere! […]
Samuel Taylor Coleridge, La ballata del vecchio marinaio
Quasi fosse troppo grande e troppo potente per le virtù comuni, l’oceano ignora compassione, fede, legge, memoria. La sua incostanza può essere mantenuta conforme ai propositi umani solo con una risolutezza indomita, e con una vigilanza insonne, armata, gelosa, in cui, forse, c’é sempre stato più odio che amore. Odi et amo può ben essere la professione di fede di coloro i quali coscientemente o ciecamente hanno consegnato la propria esistenza al fascino del mare. Tutte le passioni tempestose dell’umanità quando era giovane, l’amore della rapina e l’amore della gloria, l’amore dell’avventura e l’amore del pericolo, insieme con il grande amore dell’ignoto e i vasti sogni di dominio e di potenza, sono passati come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare alcun segno sulla faccia misteriosa del mare. Impenetrabile e senza cuore, il mare non ha dato nulla di se stesso a coloro che ne hanno corteggiato i precari favori. Diversamente dalla terra, non si può soggiogarlo a nessun prezzo di pazienza e di fatica. Benché siano tanti coloro che il suo fascino ha adescato e condotto a una morte violenta, la sua immensità non è mai stata amata come sono state amate le montagne, le pianure, persino il deserto.
Joseph Conrad (1905)
Le stelle spuntarono innumerevoli nella notte chiara e riempirono tutta la volta del cielo. Scintillarono come cose vive sul mare e avvolsero tutt’intorno nella sua corsa la nave, più penetranti degli occhi fissi di una folla attenta ed imperscrutabile come sguardi umani.
La traversata era cominciata e la nave, come un frammento staccato dalla terra, correva solitaria e rapida come un piccolo pianeta. Intorno ad essa gli abissi del cielo e del mare si univano in una irraggiungibile barriera. Una grande solitudine sembrava avanzare tutt’intorno con la nave, sempre mutevole e sempre eguale ed eternamente monotona ed imponente. Di tanto in tanto un’altra vela bianca errante carica di vite umane appariva lontano e spariva diretta verso il suo destino. Il sole dardeggiava la nave coi suoi raggi tutto il giorno e ogni mattina riapriva su di essa il rotondo occhio ardente pieno di curiosità insoddisfatta. Essa aveva il suo destino, viveva della vita di quegli esseri che si muovevano sopra i suoi ponti e come la terra che l’aveva confidata al mare trasportava un intollerabile carico di speranze e di rimpianti. Nel suo seno vivevano la verità timida e la menzogna audace; e come la terra essa era inconscia, bella a vedere e condannata dagli uomini ad un ignobile fato. L’augusta solitudine del suo cammino conferiva dignità al meschino scopo del suo pellegrinaggio. Essa filava schiumeggiando verso il sud come guidata dal coraggio di un’alta impresa. La ridente immensità del mare rimpiccoliva la misura del tempo. I giorni volavano uno dietro l’altro rapidi e luminosi come il guizzare di un faro, le notti brevi e piene di avvenimenti parevano fuggevoli sogni. Gli uomini se ne stavano raggomitolati ai loro posti ed ogni mezz’ora la campana di bordo regolava la loro vita di incessante lavoro. Notte e giorno la testa e le spalle d’un marinaio si profilavano in alto a poppa contro il sole o il cielo stellato immobili sopra la mobile ruota del timone. Le facce cambiavano succedendosi l’una dopo l’altra; facce giovani, barbute, torve, serene o corrucciate; ma tutte fatte rassomiglianti dal mare che affratella, tutte con la stessa espressione attenta degli occhi fissi a scrutare la bussola o le vele.
Joseph Conrad (1898)
La nave dormiva.
Il mare si stendeva lontano,
immenso e caliginoso,
come l’immagine della vita,
con la superficie scintillante
e le profondità senza luce.
Joseph Conrad
L’azzurra distesa del Mediterraneo, incantatore e ingannatore di uomini audaci, manteneva il segreto del suo fascino… sotto la meravigliosa purezza del cielo al tramonto.
Joseph Conrad
Chi abbia avuto occasione di nuotare sotto la pioggia
conosce la strana impressione di stare all’asciutto sotto la superficie
e il timore di uscire per non bagnarsi.
Un sommozzatore, a guardare in su quando piove,
scorge un’infinità di mobili minuscoli spilli che traforano l’acqua.
L’acqua dolce, lentamente mischiandosi all’acqua salata del mare,
crea una zona di distorsione ottica nello strato superficiale,
come raggi di calore dondolanti sulla terra arroventata.
Nelle acque sotto costa, durante gli acquazzoni,
abbiamo notato una straordinaria agitazione tra i pesci.
Vanno matti per la pioggia.
Quando cade, i più piccoli sfrecciano in tutte le direzioni,
e dal fondo escono saraghi solitari che si arrampicano
e si tuffano, descrivendo incredibili acrobazie.
Muggini e branzini volteggiano freneticamente sotto l’ebollizione della pioggia.
Stanno ritti sulla coda con la bocca aperta,
quasi per succhiare l’acqua dolce.
Le giornate di pioggia in mare sono giorni di festa.
Jacques Yves Cousteau (1954)
La vita non è un cammino semplice e lineare lungo il quale possiamo procedere liberamente e senza intoppi, ma piuttosto un intricato labirinto attraverso il quale dobbiamo trovare la nostra strada, spesso smarriti e confusi, talvolta imprigionati in un vicolo cieco, ma sempre se abbiamo fede, si aprirà una porta: forse non quella che ci saremmo aspettati, ma certamente quella che alla fine si rivelerà la migliore per noi!
Archibald Joseph Cronin
Avevo scoperto di possedere capacità e forze che in quei lontani giorni di sogni a occhi aperti, prima del viaggio, non avrei immaginato possibili. [...] Avevo compreso la libertà e la sicurezza. La necessità di scuotere le fondamenta di abitudine. Che per essere liberi ci vuole una vigilanza costante e inesorabile sulle proprie debolezze. Una vigilanza che richiede un’energia morale che la maggior parte di noi è incapace di creare. Ci nascondiamo dentro gli stampi dell’abitudine. Lì ci sentiamo al sicuro, ci arginano e ci proteggono a scapito della libertà. Rompere tali stampi, rendersi indifferenti alle seduzioni della sicurezza è una lotta impossibile, ma una delle poche che contano. Essere liberi significa imparare, mettersi continuamente alla prova, rischiare. Non è una condizione sicura. Avevo imparato a usare le mie paure come sostegni su cui camminare, e non come ostacoli sui quali inciampare, e più di tutto avevo imparato a ridere. Mi sentivo invincibile, intoccabile, avevo esteso me stessa, e ora credevo di potermi mettere comoda, non c’era nient’altro che il deserto potesse insegnarmi. E volevo ricordare tutto questo. Volevo ricordare questo posto e che cosa significava per me, e come ci ero arrivata. Volevo fissarlo così fermamente nella mia testa da non poterlo mai più dimenticare.
Robyn Davidson, Orme
Dovetti percorrere migliaia di miglia di oceano per scoprire che la chiave della vita sta nel coraggio. Il coraggio è la volontà di affrontare la vita di ogni giorno con tutte le noie e le banalità che ne conseguono; è capire che non si è molto importanti, accettare la cosa e non lasciarsi distogliere dai propri sforzi. Quando un uomo dice che ama il mare, ama l’illusione di dominarlo, l’orgoglio della sua capacità, la vita speciale che si fa sul mare, ma non il mare stesso. Uno può essere toccato dalla sua bellezza e grandiosità, oppure spaventato dalla sua immensità e capacità di distruzione, ma non può amarlo più di quanto uno possa amare le stelle nello spazio infinito.
Ann Davison
E mare, mare, mare.
A momenti c’era da immaginare
che fossero scomparse le terre dalla superficie del globo,
e che noi navigassimo sull’oceano universale,
senz’approdare mai più.
Edmondo De Amicis
Forse, ognuna di queste ricerche è soltanto una diversa rappresentazione di un unico bisogno: l’arricchimento della propria anima. E’ dunque questa la causa dell’irrequietezza? A chi vuole riempire il vuoto dentro di sé, a chi anela alla conoscenza nel senso più ampio del termine, a quella conoscenza che permette di capire il senso della vita, una terra non basta.
John Donne, (1635)
La convinzione codarda per cui una persona deve restare in un posto ricorda troppo la rassegnazione assoluta degli animali, di quelle bestie da soma instupidite dalla servitù sempre pronte ad accettare la bardatura. Ci sono limiti in ogni campo e delle leggi che governano ogni potere organizzato, ma il viandante possiede l’intera vasta terra che termina solo all’orizzonte inesistente, e il suo impero è intangibile, perché il suo dominio e il suo godimento sono cose dello spirito.
Isabelle Eberhardt
Se l’individuo realizza il suo io mediante l’attività spontanea, e in questo modo si mette in rapporto con il mondo, cessa di essere un atomo isolato; sia lui che il mondo diventano parti di un tutto organico; egli occupa il suo giusto posto, e così i dubbi su se stesso e sul significato della vita; quando egli riesce a vivere non in modo coatto, né da un automa, ma spontaneamente, essi scompaiono. Ha coscienza di se come un individuo attivo e creativo e riconosce che c’è un solo significato della vita: l’atto stesso di vivere.
Erich Fromm
L’avere è il lavoro accumulato, l’essere è l’attività umana, certo, non un’attività semplicemente tale – come portare delle pietre da un posto all’altro –, questa non è l’attività umana. […] Essere vivo, interessato, vedere le cose, vedere l’uomo, ascoltare l’uomo, immedesimarsi nel prossimo, sentire se stessi, rendere la vita interessante, fare della vita qualcosa di bello e non di noioso.
Erich Fromm
Gli idoli dell’uomo moderno avido, alienato sono la produzione, il consumo, la tecnologia, lo sfruttamento della natura. […] Quanto più ricchi sono i suoi idoli, tanto più l’uomo si impoverisce. Invece della gioia egli va in cerca di piacere e di eccitamento; invece di crescere cerca possesso e potere; invece di essere, egli persegue avere e sfruttamento; invece di ciò che è vivo sceglie ciò che è morto.
Erich Fromm
L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi. […] Se invece si sottomette a un’autorità, allora può sperare che l’autorità gli dica quello che è giusto fare, e ciò vale tanto più se c’è un’unica autorità – come è spesso il caso – che decide per tutta la società cosa è utile e cosa invece è nocivo.
Erich Fromm
È un dato di fatto che la maggior parte degli uomini siano oggi impiegati o simili di livello più o meno alto, che fanno ciò che qualcuno dice loro di fare o che è imposto dalle regole, evitando di provare sentimenti, perché i sentimenti disturberebbero il funzionamento armonico della macchina. Il tratto distintivo di ogni società industriale è il suo corretto funzionamento, giacché ogni intoppo, ogni frizione nel meccanismo della macchina è uno spreco di denaro. Così gli uomini devono esercitarsi a provare quante meno emozioni sia possibile, perché le emozioni costano denaro.
Erich Fromm
Diego non conosceva il mare. Suo padre, Santiago Kovadloff, lo condusse a scoprirlo. Se ne andarono a sud.
Lui, il mare, stava al di là delle alte dune, in attesa. Quando padre e figlio, dopo un lungo cammino, raggiunsero finalmente quei cumuli di sabbia, il mare esplose davanti ai loro occhi. E fu tanta l’immensità del mare, e tanto il suo fulgore, che il bimbo restò muto di bellezza.
E quando alla fine riuscì a parlare, tremando, balbettando, chiese a suo padre:
Aiutami a guardare!
Eduardo Galeano
Utopia: Lei è all’orizzonte, mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai.
A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.
Fernando Birri, citato da Eduardo Galeano
Dal disincanto del mondo e nell’instabilità di tutte le parole che prima lo definivano, nacque un paesaggio insolito, simile allo spaesamento, in cui si annuncia una libertà diversa, non più quella del sovrano che domina il suo regno, ma quella del viandante che al limite non domina neppure la sua via. Consegnato al nomadismo, l’uomo spinge avanti i suoi passi, ma non più con l’intenzione di trovare qualcosa, la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza. Anche queste parole si sono fatte nomadi, non più mete dell’intenzione o dell’azione umana, ma doni del paesaggio che ha reso l’uomo viandante senza una meta, perché è il paesaggio stesso la meta.
Umberto Galimberti
Sorride da lontano.
Denti di spuma,
Labbra di cielo.
Federico García Lorca, Il mare
Il viaggiatore deve possedere un’intensa ed inesauribile energia, sia di spirito che di corpo, che gli consenta di far ricorso ad ogni mezzo di trasporto e di sopportare con il sorriso sulle labbra ogni avversità relativa alla strada, al tempo e alla locanda dove trascorrere la notte. Tale energia deve fornirgli lo stimolo ad un’incessante curiosità, renderlo insofferente al riposo, in continua lotta con il tempo ed ardimentoso al cospetto del pericolo; deve indurlo ad ogni ora del giorno e della notte a sfidare le onde del mare, a scalare le montagne o a discendere nelle miniere, non appena gli si presenti la pur minima occasione di divertirsi e di apprendere.
Edward Gibbon
Per noi, viandanti eternamente alla ricerca della via più solitaria,
non inizia il giorno dove un altro giorno finisce,
e nessuna aurora ci trova dove ci ha lasciato il tramonto.
Anche quando dorma la terra,
noi procediamo nel viaggio.
Khalil Gibran, Il Commiato
E alcuni di voi mi hanno giudicato distante ed ebbro della mia solitudine,
E hanno detto:
«Lui tiene consiglio con gli alberi della foresta,
ma non con gli uomini.
Siede solitario sulle cime dei monti e guarda dall’alto la nostra città».
È vero, ho scalato montagne e ho camminato in luoghi remoti.
Ma come avrei potuto vedervi
se non da una grande altitudine o da una grande distanza?
In verità, come si può essere vicini
se non si conosce la lontananza?
Khalil Gibran, Il Commiato
Voi non siete rinchiusi nel vostro corpo,
né confinati nelle case o nei campi.
Ciò che voi siete ha la sua dimora tra le montagne ed erra nel vento.
E non è qualcosa che striscia al sole per scaldarsi
o scava buche nel buio per trovare rifugio,
ma un qualcosa di libero,
uno spirito che avvolge la terra e muove l’etere.
Khalil Gibran, Il Commiato
Per sempre camminerò su questi lidi,
Tra la sabbia e la spuma,
L’alta marea cancellerà le mie orme,
E il vento soffierà via la spuma.
Ma il mare e la spiaggia dureranno.
Per sempre.
Khalil Gibran, Sabbia e spuma (1926)
Se in generale, un uomo non deve essere considerato che come il supplemento di tutti gli altri, se non sembra mai più utile e più amabile che quando si dà per tale, ciò è vero, soprattutto, nei racconti di viaggi e di viaggiatori.
Le individualità, le vedute, i tempi, le circostanze favorevoli e sfavorevoli, tutto si presenta diversamente per ciascuno.
Johann Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia (1786 )
A un certo punto devi prendere una decisione: i confini non tengono lontani gli altri, servono solo a soffocarti.
La vita è un problema, e noi siamo così. Quindi puoi sprecare la tua vita a tracciare confini oppure puoi decidere di vivere, superandoli. Ma ci sono confini che è decisamente troppo pericoloso varcare.
Però una cosa la so: se sei pronto a correre il rischio, la vita dall’altra parte è spettacolare…
Dal telefilm “Grey’s Anatomy”
Lì abbiamo capito che la nostra vocazione, la vera vocazione, era viaggiare in eterno per le strade e i mari del mondo. Eternamente curiosi: osservando tutto ciò che potesse comparire davanti alla vista. Annusando ogni angolo, ma sempre con discrezione, senza piantare radici in nessuna terra, né fermandoci a studiare il substrato di qualcosa; la periferia ci bastava.
Ernesto “Che” Guevara, Latinoamericana
Mi devo fermare, solo per un attimo, per rendermi ben conto se tutto questo è davvero reale, solo per un attimo esito ancora, poi respiro profondamente e scivolo giù negli abissi dello sconosciuto paese delle meraviglie. Adesso mi trovo ad un tratto in un mondo totalmente diverso, molto lontano da tutti i paesaggi conosciuti di questa terra, in una regione che solo a pochi privilegiati è consentito di ammirare. Ora nuoto attraverso un bosco di coralli. I coralli si presentano sul fondo del mare come degli alti tronchi d’albero bruno-rossicci, come vecchissimi alberi dai grossi tronchi nodosi. Nel bosco che formano tutto sembra irreale, come in un regno di fate e di gnomi. I rami di questi alberi corallini non sono slanciati, bensì grossi e ombrosi; si elevano nell’acqua come fitti rami d’abete. Questa foresta di madrepore a corna di alce cresce bizzarramente, vasta, massiccia, dando l’illusione di una selva incantata.
Ma il bosco non è inanimato; da per tutto balenano vivi colori, qui rosso e verde, là giallo e azzurro, ed anche negli oscuri angoli pieni d’ombra vi sono degli occhi che mi fissano scintillando fantasticamente. Nuoto ora sotto i rami sfiorando quasi la base degli alberi, lungo il margine della foresta, scrutando attentamente questo misterioso paese fiabesco. Per un momento l’atmosfera di questo regno subacqueo minaccia di sopraffarmi: e quando all’improvviso appaiono fra gli alberi delle strane forme; grandi ventagli che sventolano ritmicamente di qua e di là, come tante pinne di pesci incredibilmente grandi che stessero qui in agguato sul fondo. Non sono invece che delle flessibili gorgonie, chiamate anche ventagli di Venere, che oscillano dolcemente nelle onde lunghe e lente del mareggio.
Nuoto fra i ventagli di Venere, alzo lo sguardo in alto e mi rallegro alla vista: sulle cime della foresta incantata vivono innumerevoli delicate silfidi, dei piccoli pesci variopinti dai minuscoli vivacissimi occhi. Sono tutti in movimento, ballano tra i rami e si lanciano, come in un ballo armonioso, nei meandri del bosco fatato. Questa visione mi dà la gradevole impressione di non essere più in un mondo sconosciuto e cattivo, bensì tra esseri lieti e felici che non mi vogliono male.
Hans Hass (1939)
Aver casa è bello
dolce il sonno sotto il proprio tetto,
figli, giardino e cane. Ma ahimè,
appena ti sei riposato dall’ultimo viaggio,
già con nuove lusinghe il mondo lontano t’insegue.
Meglio è patire nostalgia di casa
e sotto l’alto cielo essere,
col proprio struggimento soli.
Avere e riposare può soltanto
l’uomo dal cuore tranquillo,
mentre il viandante sopporta stenti e pene
con sempre delusa speranza
più facile è l’ampliamento di un viaggio
più facile che trovar pace nella valle natia,
dove tra gioie e le cure ben note
solo il viaggio sa costruirsi la via.
Per me è meglio cercare e mai trovare
che legarmi stretto a quanto mi è vicino,
perché in questa terra, anche nel bene,
sarò sempre un ospite e mai un cittadino.
Hermann Hesse
Ancora una volta amo tutte queste cose familiari
con una accresciuta intensità
poiché sto per staccarmene.
Domani amerò altri tetti, altre capanne.
Non lascio qui il mio cuore,
come si legge nelle lettere d’amore.
Oh no, il mio cuore lo porterò con me,
ho bisogno di lui anche lassù sulle montagne, in ogni ora.
Poiché io sono un nomade,
sono un adoratore dell’infedeltà, del mutamento, della fantasia.
Non tengo in nessun conto l’idea di inchiodare il mio amore
ad una qualsiasi chiazza della terra.
Hermann Hesse
Solitario viandante, io non distinguo più tra gli impulsi della mia interiorità e il concerto della vegetazione che con miriadi di voci mi circonda all’esterno… Per l’attimo di un respiro avverto, profonda come non mai, la caducità della mia forma e mi sento trasportato al di là nella metamorfosi: nella pietra, nella terra, nell’arbusto di lampone, nelle radici dell’albero. La mia bramosia s’aggrappa ai segni del transeunte: a terra, acqua, fogliame avvizzito. Domani, dopodomani, presto io sono te: sono terra, fogliame e radici.
Hermann Hesse, La Natura ci parla
La poesia del viaggiare non sta nel ristoro dalla monotonia del proprio paese, dal lavoro e dalle contrarietà, non nella casuale compagnia di altri esseri umani e nella contemplazione di quadri altrui. Non consiste tanto meno nella soddisfazione di una curiosità. Essa risiede nel fare nuove esperienze, cioè nell’arricchirsi, nell’organica assimilazione delle novità acquisite, nella nostra crescente comprensione dell’unità nel molteplice, del grande intreccio di terra e umanità, nel ritrovamento di verità e leggi antiche in situazioni assolutamente nuove. [...]
Chi viaggia volentieri dovrebbe sentire il bisogno impellente di far propri, poco alla volta, i paesi in cui indovina esserci qualcosa che i suoi occhi e il suo cuore possano bramare, studiandoli e assaporandoli lentamente fino a conquistare una parte di mondo, mettendo radici in molti paesi e raccogliendo pietre, tanto da oriente quanto da occidente, per la splendida edificazione di una comprensione totale della terra e della sua vita.
Hermann Hesse, L’arte dell’ozio – Sul viaggiare
Così selvaggia e insaziabile è la vera voglia di viaggiare, lo stimolo di conoscere e di sperimentare cose nuove, che nessuna conoscenza e nessuna esperienza riescono a saziare. Uno stimolo che è più forte di noi e di tutte le catene, che vuole sempre più sacrifici da chi ne è dominato. […] Quando la terra chiama, quando ai vagabondi giunge il richiamo del ritorno e per noi irrequieti si delinea il luogo del riposo, allora alla fine non sarà un congedo, una timida resa, ma piuttosto un assaporare, grati e assetati, la più profonda delle esperienze.
Hermann Hesse
Sole illumina il mio cuore,
vento disperdi le mie pene e i miei lamenti!
Piacere più profondo non conosco sulla terra
se non di andare lontano.
Per la pianura seguo il mio corso,
il sole deve ardermi, il mare rinfrescarmi;
per condividere la vita della nostra terra
dischiudo festoso i miei sensi.
E così ogni nuovo giorno mi deve
nuovi amici, nuovi fratelli indicare,
finché lieto posso tutte le forze celebrare,
e di ogni stella diventare ospite e amico.
Hermann Hesse, Canzone di viaggio
Noi viandanti siamo tutti così. La nostra smania di vagabondaggio e di vita errabonda è in gran parte amore, erotismo… Quell’amore che apparterrebbe alla donna noi lo dissipiamo profondendolo al villaggio, alla montagna, al lago, alla voragine, ai bimbi sul sentiero. Noi liberiamo l’amore dall’oggetto. L’amore da solo ci è sufficiente. Così come nel nostro vagare non cerchiamo la meta, ma solo il godimento del vagabondaggio per sé stesso. Per l’essere in cammino.
Hermann Hesse, Vagabondaggio
Se tracci col gesso una riga sul pavimento, è altrettanto difficile camminarci sopra che avanzare sulla più sottile delle funi. Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché non è pericoloso. Se fai finta che la fune non è altro che un disegno fatto col gesso e l’aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi del mondo. Ciò che conta è tutto dentro di noi; da fuori nessuno ci può aiutare. Non essere in guerra con se stessi, vivere d’amore e d’accordo con se stessi: allora tutto diventa possibile. Non solo camminare su una fune, ma anche volare.
Hermann Hesse, Imagination
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.
Nazim Hikmet, Arrivederci fratello mare
Guardare gli eventi e le situazioni in una luce positiva è importante. La forza, la saggezza e la gioia che accompagnano un simile atteggiamento portano alla felicità. Guardare le cose con ottimismo o benevolenza non significa essere stupidamente ingenui e permettere agli altri di approfittare della nostra buona disposizione d’animo. Significa avere la saggezza e l’intuizione di muovere le cose in direzione positiva, considerandone l’aspetto migliore pur rimanendo concentrati sulla realtà.
Daisaku Ikeda
Inizialmente viaggiamo per perderci, poi viaggiamo per ritrovarci. Viaggiamo per aprire il nostro cuore e i nostri occhi e conoscere del mondo più di quanto sta nei giornali. Viaggiamo per portare quel poco che possiamo – nella nostra conoscenza e ignoranza – a quelle parti del globo le cui ricchezze sono diversamente distribuite. E, in sostanza, viaggiamo per ritornare ad essere dei giovani pazzi, per rallentare il tempo, farci ingannare e innamorarci di nuovo.
Pico Iyer, Why we travel
L’avventura è un percorso. La vera avventura – auto-determinata, auto-motivata, spesso rischiosa – ti costringe a incontrarti in prima persona con il mondo. Il mondo così com’è, non il modo come lo immagini. Il tuo corpo si scontrerà con la terra e tu ne sarai testimone. In questo modo sarai costretto a confrontarti con la gentilezza senza limiti e la crudeltà senza fondo del genere umano – e forse ti renderai conto che tu stesso sei capace di entrambi. Questo ti cambierà. Nulla sarà mai più in bianco e nero.
Mark Jenkins
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente, e con che gioia
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Costantinos Kavafis
«…dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.»
«Per andare dove, amico?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare…»
[…] Tutti eravamo felici, ci rendevamo conto che stavamo abbandonando dietro di noi la confusione e le sciocchezze e compiendo la nostra unica e nobile funzione nel tempo, andare.
Jack Kerouac, Sulla strada
Tienti saldo, Jack, attraversa ogni cosa, e ogni cosa è un unico sogno, un’unica apparizione, un unico baleno, un unico triste occhio, un unico lucido mistero cristallino, un’unica parola – Tienti saldo, amico, riprendi amore alla vita e scendi giù da questa montagna e sii semplicemente – sii – sii le infinite fertilità dell’unica mente dell’infinito, non far commenti, lagnanze, critiche, lodi, ammissioni, parole, fulminanti stelle di pensiero, ma solo scorri, scorri, sii tutto te stesso, sii ciò che è, è soltanto ciò che sempre è – Speranza è un parola simile a una raffica di neve – Questa è la Grande Conoscenza, questo è il Risveglio, questa è la Vuotezza – Perciò fa’ silenzio, vivi, viaggia, buttati, benedici e non pentirti.
Jack Kerouac, Angeli di desolazione
Se riesci a mantenere il controllo quando tutti intorno a te lo perdono
e te ne fanno una colpa;
se riesci ad aver fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
ma concedi attenuanti al loro dubitare;
se riesci ad aspettare e a non stancarti nell’attesa,
o quando gli altri mentono tu non ti abbandoni alla menzogna,
o quando ti odiano non ti abbandoni all’odio,
e tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggiamente;
se riesci a sognare senza che i sogni diventino il tuo padrone;
se riesci a pensare e a non fare dei tuoi pensieri il tuo scopo,
se riesci ad affrontare il Trionfo e la Sconfitta
e a trattare questi due impostori allo stesso modo;
se riesci a sopportare di sentire la verità che hai detto
distorta da bricconi per abbindolare gli sciocchi,
o a vedere le cose a cui tu hai dedicato la vita, rotte,
e a chinarti e ricostruirle con arnesi logori;
se riesci a fare un solo fascio di tutte le tue vincite
e rischiarle in blocco a testa e croce,
e perdere, e ricominciare tutto da capo,
e non dire una parola sulla perdita;
se riesci a costringere cuore, nervi e tendini
a servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
e a non mollare quando non resta altro in te
che la Volontà che dice: «Non mollate!»
Se riesci a parlare alla folla e a mantenere la tua integrità,
a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
se né i nemici né gli amici più cari possono ferirti,
se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
se riesci a riempire un implacabile minuto
con sessanta secondi degni di essere vissuti,
tua è la Terra e tutto quello che è in essa,
e, quel che più conta, tu sei un Uomo, figlio mio.
Rudyard Kipling
Oh, zitto, piccino mio, la notte è vicina
E nere son l’acque che sì verdi scintillavano.
La luna, sui marosi, guarda giù e trova noi
Che riposiamo negli avvallamenti dell’onde mormoranti.
Laddove i cavalloni s’incontrano, là soffice sia il tuo cuscino;
Oh, mio piccino affaticato, raggomitolati a tuo piacere!
La burrasca non ti sveglierà, né lo squalo ti sorprenderà,
Se tu dormi in braccio ai flutti, che ti cullan lentamente.
Rudyard Kipling, Ninnananna delle foche (1894)
Di nuovo la solitudine.
Non mi restava altro che l’idea del viaggio per tirare avanti.
Alce Nero dice che l’uomo si perde proprio nel mondo oscuro delle ombre cangianti: un mondo in cui l’uomo può forse trovare la forza di proseguire un pochino, ma non le intuizioni profonde.
E può darsi che il nostro unico dono sia l’opportunità di cercare, il fatto di non avere certezze.
Può darsi che indagare, e nient’altro, sia il nostro retaggio.
William Least – Heat Moon
Partire non sapendo esattamente perché è proprio il motivo primario per partire, e scoprirne il perché è l’esito più promettente e potenzialmente soddisfacente. […] Ho passato tantissimi anni a vagabondare da solo non conoscendone esattamente il motivo, al punto che ora credo che la risposta al perché “ci fossimo imbarcati in quel po’ po’ di viaggio” risieda prima di tutto sia nel perché che nel come sono diventato scrittore. […] Scrivere è avere una ragione per vagabondare nella propria vita e qualche volta in quelle degli altri, che li si conosca o no.
William Least – Heat Moon, Le strade per Quoz
Camminare significa aprirsi al mondo. L’atto del camminare immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la partecipazione di tutti i sensi. Si cammina per nessun motivo, per il piacere di gustare il tempo che passa, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, o anche, semplicemente, per rispondere al richiamo della strada. Camminare è un modo tranquillo per reinventare il tempo e lo spazio. Prevede una lieta umiltà davanti al mondo.
David Le Breton
Esplorare non significa tanto coprire una distanza in superficie, ma studiarla in profondità: un episodio fuggevole, un frammento di paesaggio o un’osservazione colta al volo potrebbero costituire l’unico mezzo per comprendere e interpretare delle zone che altrimenti resterebbero prive di significato.
Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici
Ricordo infine la soddisfazione e la quiete, direi quasi la placida felicità che, nel cuore della notte, viene dalla percezione smorzata della pressione delle macchine e dal fruscio dell’acqua contro la chiglia; come se il movimento producesse una specie di stabilità, di un’essenza più perfetta dell’immobilità.
Claude Lévi-Strauss (1955)
Se fuori da queste ampie mura del mondo
Si stende lo spazio
La mente vuole alzarsi a vedere
E in quel vuoto l’animo mio peregrinare.
Lucrezio, De Rerum Natura
La natura t’invita e t’ama:
riposati nel suo seno, ch’essa t’apre sempre;
quando tutto per te cambia,
la natura resta la stessa,
e lo stesso sole sorge sui tuoi giorni.
Alphonse-Marie-Louis de la Martine
Tu che sei in viaggio,
sono le tue orme
la strada, nient’altro.
Tu che sei in viaggio,
non sei su una strada,
la strada la fai tu andando.
Mentre vai si fa la strada
e girandoti indietro
vedrai il sentiero
che mai più calpesterai.
Tu che sei in viaggio,
non hai una strada,
ma solo scie nel mare.
Antonio Machado, Tu che sei in viaggio
Lo scafo consunto e verdiccio
della vecchia feluca
riposa sul lido…
sembra la vela mozzata
che sogni ancora nel sole e nel mare.
Il mare ribolle e canta…
Il mare è un sogno sonoro
sotto il sole d’aprile.
Il mare ribolle e ride
con le onde turchine e spume di latte e argento,
il mare ribolle e ride
sotto il cielo turchino.
Il mare lattescente,
il mare rutilante,
che risa azzurre ride sulle sue cetre d’argento…
Ribolle e ride il mare!…
L’aria pare che dorma incantata
nella fulgida nebbia del sole bianchiccio.
Palpita il gabbiano nell’aria assopita , e al tardo
sonnolento volare, si spicca e si perde nella foschia del sole.
Antonio Machado, Il mare
Ci sono due modi di viaggiare. Nel primo si percorrono grandi distanze in poco tempo, ci si muove, ci si sposta, s’imparano a conoscere i lineamenti generali delle montagne, delle valli, gli aspetti più evidenti della gente e del loro carattere. Nell’altro si sosta, si va in profondo, si mettono un poco le radici e si cerca di suggere dalla terra l’invisibile linfa spirituale di cui si nutrono gli abitanti del posto. Ambedue sono modi legittimi, ambedue possono essere fonti di piacere, ambedue possono portare ad utili conoscenze e comparazioni.
Fosco Maraini, Segreto Tibet
Devo tornare sul mare, solitario sotto il cielo,
e chiedo solo un’alta nave e una stella per guidarla,
colpi di timone, canti del vento,
sbuffi della vela bianca,
e bigia foschia sul volto del mare
e un bigio romper dell’alba.
Devo tornare sul mare, ché la chiamata
della marea irruente è una chiara
selvaggia chiamata imperiosa;
e io chiedo soltanto un giorno di vento
con volanti nuvole bianche,
pieno di spruzzi e di spuma e di strillanti gabbiani.
Devo tornare sul mare, alla vita
di zingaro vagabondo; alla via
delle balene e degli uccelli marini,
dove il vento è una lama tagliente;
e io chiedo solo un’allegra canzone
da un compagno ridente e un buon sonno
e un bel sogno
quando la lunga giocata è finita.
John Masefield, Febbre del mare (1902)
GEORGE GRAY
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì
e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta,
e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò,
ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame
di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River
Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa – non importa quando esattamente – avendo poco o nulla in tasca, e niente in particolare che riuscisse a interessarmi a terra, pensai di andarmene un po’ per mare, e vedere la parte equorea del mondo. E’ un modo che ho io di scacciare la tristezza, e regolare la circolazione. Ogni volta che mi ritrovo sulla bocca una smorfia amara; ogni volta che nell’anima ho un novembre umido e stillante; quando mi sorprendo a sostare senza volerlo davanti ai magazzini di casse da morto, o ad accostarmi a tutti i funerali che incontro; e soprattutto quando l’ipocondrio riesce a dominarmi tanto, che solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un gran gesto filosofico Catone si butta sulla spada: io zitto zitto m’imbarco. E non c’è niente di strano. Se soltanto lo sapessero, prima o poi quasi tutti nutrono, ciascuno a suo modo, su per giù gli stessi miei sentimenti per l’oceano.
Herman Melville, Moby Dick
Navigare di notte, in questo nero apparente, sapendo dov’è l’isola… questa magia fa rinascere in me l’alleanza con l’universo.
Le stelle parlano, il mare parla, il vento parla e l’isola, nascosta nella notte, anche lei parla.
Bernard Moitessier
Sono cittadino del più bel paese del mondo.
Un paese dalle leggi dure ma semplici, che non bara mai, immenso e senza frontiere, dove la vita scorre al presente. In questo paese senza limite, in questo paese di vento, di luce e di pace, non c’è alcun Grande Capo che il Mare.
Dio, come è bello ritrovare il largo e il suo ritmo tranquillo di vele e di scotte, vivere come un animale riscaldato dal sole, riempirmi gli occhi di migliaia di miglia davanti all’asta del fiocco, puntata verso l’infinito, solo con la mia barca, solo con il vento e le onde, solo con l’orizzonte.
Ho sempre avuto la sensazione che le lunghe traversate comportano in me una profonda pulizia di tutte le sporcizie accumulate durante un soggiorno a terra: appena persa di vista la costa, l’uomo, solo di fronte al suo creatore, non può restare indifferente alle forze della natura che lo circondano. Il suo corpo e il suo spirito, liberati dagli attacchi e dalle schiavitù terrestri, possono ritrovare la loro essenza e la purezza negli elementi naturali, che gli antichi identificavano come loro dei.
Il Vento, il Sole e il Mare: la Trinità del Dio dei marinai.
Bernard Moitessier
Il mare é calmo, molto calmo e l’acqua, lungo il bordo, canta su una sola nota.
Bernard Moitessier
E’ notte, una notte piena di stelle. Il mio corpo sfinito riposa… ma io sono con tutto me stesso nell’attrezzatura e nelle vele per ascoltare il mare… palpare il vento che abbonaccia e mi dice che la notte sarà veramente bella.
Bernard Moitessier
È ora di stendere le mie bianche vele alla leggera brezza di sud-est che mi annuncia essere giunta l’ora di partire ancora una volta verso quella linea dell’orizzonte che la mia barca non raggiungerà mai. Ma dietro quell’orizzonte ci sono altre terre, altri amici che vorrei conoscere meglio prima di doverli lasciare. Destino del marinaio, sempre insoddisfatto, perché pensa che, sull’altra riva, sempre più lontano, debba trovarsi quello che cerca.
Bernard Moitessier (1960)
Vorrai certamente sapere perché non sono rientrato in Europa. Il motivo è che nel mondo moderno ci sono troppi dei. Moravia ha mille volte ragione quando scrive che la misura umana è l’universale ed il particolare, e non il gigantesco ed il minimo. Che cosa avrei trovato in Europa? Soltanto il gigantesco che stritola l’uomo ed il minimo che l’abbrutisce. Ecco perché non sono rientrato in Europa. Per non ritornare in Europa, avrei potuto far vela verso le Antille o verso Dakar. Non l’ho fatto perché questi posti, per il momento, non mi attirano, ma soprattutto perché in mare ero felice, perché avevo trovato la pace del mio spirito, una pace totale, profonda, troppo preziosa per dover rischiare di perderla fermandomi “prima del tempo giusto”.
Non potevo sopportare l’idea che il mio viaggio dovesse concludersi poche settimane dopo il Capo Horn. Il desiderio di continuare verso il Pacifico era sorto in me molto tempo prima del Capo Horn. Ma era soltanto un desiderio, qualcosa maturato dallo spirito e che la mia mente accarezzava. Soltanto dopo l’Horn, dopo l’immensa purezza dell’Horn, il desiderio di proseguire, di andare molto più lontano divenne una sorta di esigenza materiale, piuttosto che una decisione pura e semplice. Non si trattava, qui, di arrivare alla fine di un viaggio, ma di giungere “alla fine di me stesso”. Dovevo proseguire, era necessario che rimanessi più a lungo nelle alte latitudini, dove l’essere umano si trova senza forze, smarrito per la consapevolezza dei suoi limiti, ma dove trova anche coscienza della sua grandezza.
In quelle latitudini, sentivo che il mio essere si rimpiccioliva e s’ingrandiva, che lo spirito è carne, e che la carne è spirito. Ecco perché, quando all’alba salivo in coperta, mi piaceva urlare la mia gioia di vivere, mentre contemplavo il cielo che andava rischiarandosi su quel mare colossale per forza e per bellezza, e che, a volte, cercava di annientarmi. Per questo ho continuato. O per lo meno credo sia questo il motivo. Certo, spesso ero preso da un forte smarrimento di fronte ai potenti colpi di vento, alle ondate gigantesche, alle nuvole gravide di pioggia che si rincorrevano a pelo d’acqua portando con loro tutta la tristezza del mondo e tutto il suo sconforto. Ma dovevo continuare lo stesso; forse perché quando si comincia una cosa, si deve condurla a termine, anche se, a volte non se ne comprendono le ragioni. Ma che cosa ti vado dicendo?
Non sono ragioni sufficienti e validissime i cieli limpidi, i tramonti color del sangue e della vita in un mare scintillante di bellezza? Come spiegare tutto ciò? Si può forse spiegare che non sono le stelle, il mare, il vento in se stessi a procurarci l’estasi ed il sogno, ma che invece sono i nostri sensi e la nostra anima a cercare tutto ciò? È difficile dare una spiegazione alla mia decisione di continuare il viaggio, ma un motivo doveva esserci, e questo motivo aveva un valore immenso, immensamente più grande del Globo d’Oro e delle 5.000 sterline del “Sunday Times”.
Bernard Moitessier (1969)
I più non partono che per ritornare. Viaggiano protetti e chiusi in se stessi, con una prudenza taciturna e incomunicabile, per difendersi dal contagio di un clima sconosciuto. Io, al contrario, viaggio stufo delle nostre abitudini. […] E mi sembra di non aver mai incontrato degli usi che non valessero i nostri.
Michel de Montaigne
Il viaggiare mi sembra un’attività assai utile. L’anima vi é in continuo esercizio per notare le cose sconosciute e nuove; e io non conosco migliore scuola per formare la mia vita che proporle incessantemente la diversità di tante altre vite, opinioni e usanze, e farle gustare una così continua varietà di forme della nostra natura.
Michel de Montaigne, Essais
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi
non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e I puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle
che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle
che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
Non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna, della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde
quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.
Pablo Neruda, Lentamente muore
Per questo devo tornare
a tanti luoghi futuri
per incontrarmi con me stesso
ed esaminarmi senza sosta,
senz’altro testimone che la luna
e poi fischiare di gioia
calpestando pietre e zolle,
senz’altro compito che esistere,
senz’altra famiglia che la strada.
Pablo Neruda, Il vento
Se dei tuoi doni e delle tue distruzioni, Oceano, alle mie mani
potessi io destinare una misura, un frutto, un fermento,
sceglierei il tuo riposo distante, le linee del tuo acciaio,
la tua distesa sorvegliata dal vento e dalla notte,
e l’energia del tuo linguaggio bianco
che sgretola e disfà le sue colonne
nella purezza della sua rovina.
Non è l’ultima onda col suo peso salino
quella che frange le coste e genera
la pace di arenile che contorna il mondo:
è il centrale volume della forza,
la potenza distesa delle acque,
l’immota solitudine affollata di vite.
Tempo, forse, o calice colmo
di ogni movimento, unità pura
non sigillata dalla morte, verde viscere
della totalità bruciante.
Del braccio immerso che solleva una goccia
non resta che un bacio del sale. Dei corpi
dell’uomo sulle tue rive un’umida fragranza
di fiore bagnato permane. La tua energia
sembra scivolare non esausta,
sembra ritornare al suo riposo.
L’onda che sferri,
arco d’identità, piuma stellata,
appena si sprofonda è solo schiuma
ma poi rinasce senza consumarsi.
Ogni tua forza ridiventa origine.
Solo abbandoni spoglie stritolate,
gusci che il tuo gran carico ha scartato,
ciò che l’eccesso del tuo avere esclude,
tutto ciò che ha cessato di esser grappolo.
Oltre le onde è protesa la tua statua.
Viva e ordinata come il petto e il manto
di una sola creatura, i cui respiri,
nella materia della luce issati,
- pianure sollevate dalle onde -,
sono la nuda pelle del pianeta.
E’ tua la sostanza che ti colma.
Piena di te è la curva del silenzio.
Di sale e di miele tuoi ribolle il calice,
l’universale cavità dell’acqua,
e non ti manca quanto possa avere
un cratere spellato o un vaso rozzo:
cime vuote, cicatrici,
segnali che vegliano sull’aria mutilata.
La tua corolla contro il mondo palpita,
tremano i tuoi sommersi cereali,
le soavi alghe appendono minacce,
navigano, pullulanti, i pescherecci
e sale al filo delle reti
solo il morto baleno della squama,
millimetro ferito nell’ampiezza
delle tue totalità cristalline.
Pablo Neruda, Il grande oceano
Non incolpare Nessuno.
Non lamentarti mai di nessuno, di niente,
perché in fondo Tu hai fatto quello che volevi nella Tua vita.
Accetta la difficoltà di costruire te stesso
ed il valore di cominciare a correggerti.
Il trionfo del vero uomo proviene dalle ceneri del suo errore.
Non lamentarti mai della Tua solitudine o della Tua sorte.
Affrontala con valore e accettala.
In un modo o in un altro è il risultato delle tue azioni
e la prova che Tu sempre devi vincere.
Non amareggiarti del Tuo fallimento né attribuirlo agli altri,
Accettati adesso o continuerai a giustificarti come un bimbo.
Ricordati che qualsiasi momento è buono per cominciare
e che nessuno é così terribile per cedere.
Non dimenticare che la causa del Tuo presente é il Tuo passato,
così come la causa del Tuo futuro sarà il Tuo presente.
Apprendi dagli audaci, dai forti,
da chi non accetta compromessi, da chi vivrà malgrado tutto.
Pensa meno ai tuoi problemi e più al tuo lavoro.
I tuoi problemi, senza alimentarli moriranno.
Impara a nascere dal dolore
e ad essere più grande, che è il più grande degli ostacoli.
Guarda te stesso allo specchio e sarai libero e forte
e finirai di essere una marionetta delle circostanze,
perché Tu stesso sei il Tuo destino.
Alzati e guarda il sole nelle mattine e respira la luce dell’alba.
Tu sei la parte della forza della Tua vita.
Adesso svegliati, combatti, cammina, deciditi e trionferai nella vita.
Non pensare mai al destino,
perché il destino é: il pretesto dei falliti.
Autore sconosciuto – erroneamente attribuita a Pablo Neruda
Il mare. Un mondo nascosto da cui scaturisce la vita su questo pianeta. Materno, materno oceano. Un simbolo universale di vita e fertilità nell’arte e nella letteratura. Oggetto di sogni romantici. Un gentile seduttore che ti attira con un cenno e, allo stesso tempo, un’inflessibile forza capace di furia istantanea. E il mare è libertà. È l’ultima distesa per le vaste globali migrazioni dei più grandi animali in natura, dove i soli recinti sono le coste continentali. Libertà, anche dalla gravità, per quelli immersi nelle sue acque. Un ultimo rifugio. Per molti, semplicemente, un arcobaleno è un arcobaleno, e il mare è il mare, e si lasciano sfuggire i loro più profondi segreti. Ma essi meritano una maggior attenzione, poiché ci sono arcobaleni dentro il mare per coloro che hanno gli occhi capaci di scorgerli.
Christopher Newbert (1984)
Se in me è quella voglia di cercare, che spinge le vele verso terre non ancora scoperte, se nel piacere è un piacere di navigante, se mai gridai giubilante: «La costa scomparve»; ecco anche la mia ultima catena è caduta, il senza-fine mugghia intorno a me, laggiù lontano splende per me lo spazio e il tempo, orsù! Coraggio! Vecchio cuore!
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Così parlò Zarathustra
«Dove siete diretti?»
«Sempre verso casa».
Novalis, Enrico di Ofterdingen
I molti anni di esperienza mi hanno tuttavia insegnato a sistemarmi con un minimo di comodità sulle navi dallo spazio ristretto e, anzi, provavo una vera gioia ad essere di nuovo in mare, con il mio mondo ancora una volta delimitato da angusti confini. Me ne stavo tutto il giorno appollaiato in qualche scomoda posizione a riparo del riverbero infuocato del sole e mi spostavo quando l’astro finiva per ritrovarmi, durante il suo maestoso cammino. Seduto su una pila di sacchi di copra, oppure su una botte rovesciata, o sui teloni dei boccaporti, di giorno ammiravo il mare e il cielo, di notte l’alberatura e i pennoni che oscillavano contro uno sfondo di miriadi di stelle.
Francis Downes Ommanney, 1948
M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.
Ecco sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?
Giovanni Pascoli, Mare (1892)
Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo di gioia.
E tutto è calmo.
Sandro Penna, Il mare è tutto
Sogni ardenti di qualcos’altro!
Frenesia di andare via,
(Oh, onda che in me s’ingrossa!)
via dalla vita, dove la vita deve rimanere -
vita sempre fino ad oggi!
Altre cose e altri luoghi!
Non una vita! Non la mia almeno!
Oh, essere il vento, un’ala,
un veliero che mi portino lì!
Dove? Se lo sapessi,
non ci vorrei andare.
Fernando Pessoa
Al di là del porto
c’è solo l’ampio mare…
Mare eterno assorto
nel suo mormorare…
Come è amaro stare
qui, amore mio…
Guardo il mare ondeggiare
e un leggero timore
prende in me il colore
di voler avere
una cosa migliore
di quanto sia vivere…
Fernando Pessoa, Al di là
Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un’idea; avere quell’indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell’utilità della sua conoscenza. […] Appartenere: ecco la banalità. Fede, ideale, donna o professione: ecco la prigione e le catene. Essere è essere libero.
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine
Appartato sul solido bompresso dell’Albatross, ho trovato un eccellente posticino per riposare e meditare, quando il lavoro della giornata è terminato. Calate le tenebre ero solito adagiarmi là sul dorso, ammirando gli astri, risplendenti sul mio capo. Sotto di me, nelle acque dell’Oceano Indiano, sciabordanti dolcemente contro il tagliamare, c’è un’altra moltitudine di stelle. A differenza di quelle del cielo, le stelle dell’oceano non stanno fisse nello spazio, né brillano per bilioni di anni. La loro energia non è tratta dalle inesauribili riserve dei nuclei atomici. Esse sono invece delle minuscole luci viventi, che sfavillano pochi secondi soltanto, mentre la prua della nave agita l’elemento in cui esse abitano.
Di tanto in tanto una striscia d’argento si disegna attraverso il cielo, una “stella cadente”.
Hans Pettersson (1948)
Il viaggio è un processo che vi permette di “ritrovarvi” perché vi lascia senza qualcosa dietro a cui nascondervi, vi tira fuori dal regno delle reazioni automatiche e dalle ottuse comodità costringendovi a vivere il presente. Qui, nell’attimo fuggente, non vi resta che confrontarvi con il vostro io più nudo e più vero.
Rolf Potts, Vagabonding
All’orizzonte di quell’oceano
ci sarebbe stata sempre un’altra isola,
per ripararsi durante un tifone,
o per riposarsi e amare
Quel orizzonte aperto sarebbe stato
sempre lì, un invito ad andare.
Hugo Pratt, Una ballata del mare salato
Il Mare! Il Mare! Il Mare aperto!
Blu, puro e sempre libero!
Senza impronta, senza confini,
esso circonda le grandi regioni della terra;
gioca con le nuvole; sfida i cieli;
o giace come una creatura cullata.
Io sono sul Mare! Sono sul Mare!
Io sono dove sempre sarò;
con il blu sopra, e con il blu sotto,
e il silenzio dovunque vada;
Se una tempesta venisse a risvegliare gli abissi,
che importa? Io ondeggerò nel sonno.
Io amo (oh! quanto io amo) cavalcare
la selvaggia spumeggiante e scoppiettante marea,
quando ogni onda matta offusca la luna,
o sibila in alto il suo accordo tempestoso,
e racconta il mondo sottomarino,
e perché soffiano le raffiche di sud-ovest.
Io mai giacqui sulla noiosa docile sponda,
ma amai il grande Mare sempre di più,
e ritornai in volo al suo seno ondeggiante,
come un uccello in cerca del materno nido;
e una madre era, ed è per me;
perché sono nato sull’aperto Mare!
Le onde erano bianche, e rossa l’alba,
nella turbolenta ora in cui nacqui;
e la balena soffiò, si tuffò la focena,
e i delfini rivelarono i loro dorsi dorati;
e mai si fece tanto selvaggio scalpore
nel salutare alla vita un figlio dell’Oceano!
Ho vissuto da allora, in pace e in lotta,
mezzo secolo di vita da marinaio,
con ricchezze da spendere e forza da vendere,
ma mai ho cercato, né desiderato, cambiare;
e la Morte, quando verrà,
dovrà venire sull’immenso sconfinato Mare!
Bryan Waller Procter, Il mare (1832)
Cresciamo in un mondo piccolo, e talmente chiuso da non riuscire a vedere oltre; senza rendercene conto ci abituiamo a pensare che gli unici modelli di vita siano quelli che viviamo noi, che ci vivono intorno, che il mondo sia tutto lì, e che fuori esista soltanto qualche bizzarra, eccentrica diversità. Nelle facce di Oaxaca rivedo tutte le facce dei mondi lontani dal mio, di tutti gli indios che ho visto in questo e altri viaggi. M’immergo nei loro occhi, poi ne esco e mi ci specchio. Ho così tanto da imparare da loro. Vorrei dimenticare tutto quello che conosco, cancellare tutti i miei pensieri di occidentale cresciuto a pasta e televisione, morire e poi rinascere in uno sperduto villaggio dell’altopiano messicano, essere anch’io figlio di questa terra e guardare le cose dai loro stessi neri occhi a mandorla.
Rico Rico, En mi Mexico
Non so e non saprò mai se quello che sto facendo sia il giro migliore, ma sono convinto che, in qualsiasi direzione decida di andare, non esista un posto in cui possa pentirmi di essere stato, e allora io vado, provando ogni volta la sublime sensazione di una nuova partenza.
Rico Rico, En mi Mexico
Rimango a guardare il mare nell’oscurità, è proprio sotto il mio alloggio, e ne sento la brezza pervadermi, mi accarezza, mi soffia dentro, nell’anima, e continua a farlo anche dopo, nella mia amaca, sotto il mosquitero che mi protegge dalle zanzare, e mi addormento così, con il vento dentro.
Rico Rico, En mi Mexico
Ciascuna foto che faccio mi pare un’ingiustizia verso tutto quello che c’è attorno, quello che rimane fuori all’inquadratura, sotto, sopra, ai lati, ogni cosa che l’occhio vede un attimo prima e un attimo dopo lo scatto, ma che l’obiettivo non può vedere, è come se facessi un torto a tutte le altre immagini che animano il resto del viaggio, mi sembra di rubarle alla memoria.
Rico Rico, Argentina barbara
Siamo entrati in mare aperto sotto un bellissimo cielo stellato e un minuscolo spicchio di luna, troppo esile però per illuminare il nostro cammino lì sotto. Nuotavamo in un buio nero in cui non si distingueva nulla, cielo e mare erano diventati una cosa sola, e la barca dondolava spavalda su ogni onda affondando la prora sempre più dentro quell’oscurità. Poche ore dopo, le prime luci chiare dell’alba cominciavano a spuntare lentamente dietro ai monti lungo la costa, disegnandone il contorno: già da sola, quell’immagine valeva tutte le fatiche della traversata.
Il mare è vivo, e le onde sono il respiro del mare. Quel giorno il mare si era rasserenato fino ad addormentarsi, e dormiva con il respiro dolce e regolare di un sonno quieto, se ne stava disteso, pacato, quasi immobile. Ci sorreggeva lasciandoci scivolare sopra di sé lungo la nostra rotta, da cui ogni tanto scorgevamo qualche isola; mantenevamo a vista, alla nostra sinistra, la striscia di costa che si faceva sempre più lontana e sottile, finché anche quell’orizzonte è diventato mare, prima di scomparire, insieme con gli altri, al calare della sera. Poi di nuovo il buio pesto. Per la seconda volta la luna era andata a nascondersi dietro l’ombra del mondo, e da lì ci spiava, facendo capolino e guardandoci avanzare nelle tenebre per tutte le lunghe ore della notte, che sembrava non passare mai. A turno cercavamo di riposare un po’, ma il sonno e la stanchezza non volevano darci tregua, e senza poter far molto per combatterli attendevamo impazienti la nuova aurora, che finalmente è apparsa puntuale. Le ore del crepuscolo erano senza dubbio i momenti più intensi, e benché quella mattina la foschia ne limitasse la visibilità, rendendo i colori meno spettacolari, la scena che s’illuminava con il formarsi del giorno era incantevole: il sole sorgeva direttamente da un mare ancora calmo e riposato, e dall’altra parte di nuovo il mare, a perdita d’occhio, in ogni direzione, mare, mare, mare. Tutt’intorno a noi, ormai chiari e delineati, si mostravano i confini: tutto quello che vedevamo era solo uno sterminato cerchio d’acqua, e noi stavamo proprio nel mezzo.
Rico Rico, Indiario
A qualche miglio di distanza c’era un gruppetto di cinque o sei delfini che parevano essersi interessati a noi. Presa la decisione di venire a conoscerci, hanno puntato la nostra barca, e nel giro di pochi istanti erano già lì. Ce li vedevamo arrivare incontro velocissimi, senza comprendere cosa volessero fare: per come avanzavano decisi, sembrava quasi che volessero colpirci, ma giunti all’altezza dello scafo sono improvvisamente scomparsi sotto, e mentre noi, incuriositi ed eccitati, tentavamo di sporgerci fuori a cercarli per capire le dinamiche di quel gioco, loro sono riemersi dalla prua per rimanere lì nella scia, dove la barca spostava più acqua, a saltare, incrociandosi e nuotando quasi addosso allo scafo. Erano uno spettacolo magnifico: sono rimasti lì davanti a giocare per qualche minuto, con noi, imbambolati, che li guardavamo salire e scendere intorno alla prua, fino a che, dopo essersi consultati, non hanno risolto per dedicarsi a qualche nuovo passatempo, rallentando e lasciandoci sfilare via. Prima di congedarsi, il più esuberante del gruppo ha voluto salutarci con un ultimo omaggio, uscendo fuori dal mare e salendo in aria, in verticale, a sculettare battendo con la pinna posteriore sul pelo dell’acqua: era bellissimo, pareva tentasse di danzare sulle punte come una goffa ballerina alle prime armi. Li vedevamo allontanarsi dietro di noi su uno specchio d’acqua che brillava dei riflessi del sole, e noi stavamo su quello stesso specchio, a galleggiare sul mondo, perché in quel momento il nostro mondo era tutto lì, era fatto solo di mare.
Rico Rico, Indiario
Cercavo di sfamare così quel desiderio di conoscere che rende straordinariamente eccitante l’arrivo in una nuova regione, quella voglia di capire dove ci si trova, di apprendere qualunque dettaglio di un ambiente mai visto prima per confrontarlo con le immagini dell’immaginazione, quelle su cui si era tanto fantasticato. In ogni viaggio, quelle prime ore sono la sublimazione della curiosità, dove la curiosità è il sentimento che, più d’ogni altro, ha la responsabilità stessa di aver dato l’impulso ad andare, a scegliere di partire.
Rico Rico, Indiario
Trovavo inconcepibile come ci si potesse spostare di migliaia di chilometri, scoprirsi immersi in una realtà incredibilmente differente, in un posto tanto remoto all’interno di una terra di culture così antiche e ricche, così radicate, per poi ricercare le cose che ci appartengono, la nostra gente e le nostre piccole abitudini consuete che possano renderci quel posto più familiare; l’ho sempre considerata un’assurda e bizzarra deviazione per chi va a visitare un altro paese, è come se decadesse quello che dovrebbe essere lo stimolo principale per affrontare un viaggio: il desiderio di conoscere.
Rico Rico, Indiario
Mi rendevo conto di quanto lui, dai miei racconti, potesse aspettarsi di tutto, qualunque amenità, qualsiasi follia, perché le nostre vite erano così distanti che a lui, l’intera mia esistenza, doveva apparire una lunga, eccentrica e affascinante stravaganza, e provando ad analizzarla forse lo era davvero: non vedevo più la mia realtà come un’entità solida e imprescindibile, ma cominciavo a vedere solo la conseguenza di un avvicendarsi di pezzi di storia slegati tra loro, il risultato di tante coincidenze fortuite che s’erano succedute e poi radicate nel tempo, e quell’insieme di casualità non aveva niente di logico né di determinato, le casualità sarebbero potute esser state infinite altre, e magari io alla fine mi sarei potuto ritrovare comunque lì con lui, in quello stesso momento, ma a raccontare un’altra delle infinite possibili stravaganti realtà. Non abbiamo seguito nessun vero percorso, ma siamo figli di tutti gli eventi che sono passati sulla nostra terra, e ne siamo i figli illegittimi, perché la nostra terra non è stata fedele a nulla: siamo figli di rapporti occasionali tra la nostra terra ed il caso.
Rico Rico, Indiario
Un giovane gambero pensò: – Perché nelle mia famiglia tutti camminano all’indietro? Voglio imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco.–
Cominciò a esercitarsi di nascosto, tra i sassi del ruscello natio, e i primi giorni l’impresa gli costava moltissima fatica: Urtava dappertutto, si ammaccava la corazza e si schiacciava una zampa con l’altra. Ma un po’ alla volta le cose andarono meglio, perché tutto si può imparare, se si vuole.
Quando fu ben sicuro di sé, si presentò alla sua famiglia e disse: – State a vedere.- E fece una magnifica corsetta in avanti.
- Figlio mio,- scoppiò a piangere la madre, – ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, cammina come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene. – I suoi fratelli però non facevano che sghignazzare.
Il padre lo stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse : – Basta così. Se vuoi restare con noi, cammina come gli altri gamberi. Se vuoi fare di testa tua , il ruscello è grande : vattene e non tornare più indietro.-
Il bravo gamberetto voleva bene ai suoi, ma era troppo sicuro di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracciò la madre, salutò il padre e i fratelli e si avviò per il mondo.
Il suo passaggio destò subito la sorpresa di un crocchio di rane che da brave comari si erano radunate a far quattro chiacchiere intorno a una foglia di ninfea.
- Il mondo va a rovescio, – disse una rana, – guardate quel gambero e datemi torto, se potete.-
- Non c’è più rispetto, – disse un’altra rana.
- Ohibò ohibò, – disse un terza.
Ma il gamberetto proseguì diritto, è proprio il caso di dirlo, per la sua strada. A un certo punto si sentì chiamare da un vecchio gamberone dall’espressione malinconica che se ne stava tutto solo accanto ad un sasso. – Buon giorno, – disse il giovane gambero.
Il vecchio lo osservò a lungo, poi disse: – Cosa credi di fare? Anch’io, quando ero giovane, pensavo di insegnare ai gamberi a camminare in avanti. Ed ecco cosa ci ho guadagnato: vivo tutto solo, e la gente si mozzerebbe la lingua, piuttosto che rivolgermi la parola: Fin che sei in tempo, da’ retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio.-
Il giovane gambero non sapeva cosa rispondere e stette zitto. Ma dentro di sé pensava:- Ho ragione io.-
E salutato gentilmente il vecchio riprese fieramente il suo cammino.
Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perché egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno. Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: – Buon viaggio! –
Gianni Rodari, Il giovane gambero
Molteplice e vario come l’anima umana è il dono di vedere e capire un paese straniero. L’uno è tormentato da una inestinguibile brama di lontananze, da un bisogno di vedere e conoscere il mondo in tutte le sue varie bellezze e i suoi intrecci, l’altro cerca l’elemento straordinario, la sensazione, altri i colori e le impressioni violente, altri infine la calma e la tranquillità di una vita assolutamente uniforme. Meno di tutti vedono e sentono quelli che viaggiano per abitudine.
Börje Sandberg
…il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: «non c’è altro da vedere», sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.
Josè Saramago
E il mare era per me, e lo è ancora, la più promettete e seduttiva pagina bianca. La pagina non ancora scritta, il sogno non ancora realizzato, il desiderio non ancora estinto, la fuga non ancora portata a compimento, l’assenza che suggerisce la presenza, l’inizio che non ha fine. Nella sua distesa luminosa e sconfinata, nei suoi abissi sconosciuti diventa facile e quasi inevitabile trovare una metafora vivente alla propria irrequietezza, all’istinto di libertà, alle paure e all’inesplorata e profonda regione dell’anima.
Valeria Serra, Le parole del mare
Viaggiare richiede tempo, e questo è il bello. Tempo da passare in modo diverso e lontano dai luoghi quotidiani: questa è l’attrattiva di ogni spostamento. Con in più l’opportunità di vedere le cose a distanza. Un viaggio riuscito è una forma di meditazione attiva. Per giorni interi si considera se stessi e le cose con occhio diverso e senza alcuno sforzo.
Jean-Louis Servan-Schreiber, L’arte del tempo – Come capirlo, usarlo, goderlo
…ma anche se la corrente è contraria, che importa?
E se è in nostro favore, dove siamo portati da qui, e a quale scopo ?
I nostri piani per l’intero viaggio sono così irrilevanti che poco importa, forse, dove andiamo,
perché la grazia del giorno rimane la stessa.
Non è forse per questa consapevolezza che il vecchio marinaio è contento, fosse pure in mezzo alla burrasca, e pieno di speranza anche aggrappato a una tavola in mezzo all’oceano?
Joshua Slocum
Per quel che mi riguarda, io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo appuntito di selci taglienti.
Robert Louis Stevenson, Viaggio nelle Cevennes in compagnia di un asino
Esiste una specie di morti viventi, di gente banale che a malapena ha coscienza di esistere se non nell’esercizio di qualche occupazione convenzionale. Portateli in campagna o imbarcateli su una nave e vedrete quanto si struggeranno di nostalgia per il lavoro o il loro studio. Non sono mossi da curiosità, non sanno abbandonarsi alle sollecitazioni del caso, non provano piacere nel mero esercizio delle loro facoltà, e, a meno che la necessità non li incalzi minacciandoli con un bastone, non muoveranno un dito. Non vale la pena di parlare con gente simile: sono incapaci di abbandonarsi alla pigrizia, la loro natura non è abbastanza generosa; e trascorrono in una specie di coma le ore che non sono applicate a una frenetica furia di arricchirsi.
Robert Louis Stevenson, In difesa dei pigri
A lungo durerà il mio viaggio
e lunga è la via da percorrere. Uscii sul mio carro
ai primi albori
del giorno, e proseguii il mio viaggio
attraverso i deserti del mondo
lasciai la mia traccia
su molte stelle e pianeti.
Sono le vie più remote
che portano più vicino a te stesso;
è con lo studio più arduo che si ottiene
la semplicità d’una melodia.
Il viandante deve bussare
a molte porte straniere
per arrivare alla sua,
e bisogna viaggiare
per tutti i mondi esteriori
per giungere infine al sacrario
più segreto all’interno del cuore.
I miei occhi vagarono lontano
prima che li chiudessi dicendo: «Eccoti!»
Il grido e la domanda: «Dove?»
si sciolgono nelle lacrime
di mille fiumi e inondano il mondo
con la certezza: «lo sono!»
Rabindranath Thakur (Tagore)
Quando a te si apriranno tante strade e non saprai quale scegliere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. Respira con la profondità fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuto al mondo, non farti distrarre da nulla, aspetta e aspetta ancora, resta in silenzio ed ascolta il tuo cuore. E quando ti parla, alzati e vai dove lui ti porta.
Susanna Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore
C’è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore.
Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta.
Così come non credo che si viaggi per tornare.
L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato.
Da sé stessi non si può fuggire.
Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio.
Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza.
In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico.
Ovunque vada è la propria anima che sta cercando.
Per questo l’uomo deve poter viaggiare.
Andrei Tarkovskij
Viaggiavo lentamente e ne godevo. Avevo di nuovo il tempo di guardare, di sentire i posti […]. Adoravo viaggiare così. Viaggiare è un’arte. Bisogna praticarla con comodo, con passione, con amore. Mi resi conto che, a forza di viaggiare in aereo, quell’arte l’avevo disimparata. E pensare che è l’unica cui tengo!
Tiziano Terzani
Comunque la spedizione mi dava una buona ragione per rimettermi in viaggio, per riprovare quella gioia unica che solo i drogati di partenze capiscono, quel senso di libertà che prende nell’arrivare in posti dove non si conosce nessuno, di cui si è solo letto nei libri altrui, quell’impareggiabile piacere nel cercare di conoscere in prima persona e di capire.
Tiziano Terzani, Buonanotte signor Lenin
Non c’è felicità per chi non viaggia Rohita!
A forza di stare nella società degli uomini,
Anche il migliore di loro si perde.
Mettiti in viaggio.
I piedi del viandante diventano fiori,
La sua anima cresce e dà frutti
E i suoi vizi son lavati via dalla fatica del viaggiare.
La sorte di chi sta fermo non si muove,
Dorme quando quello è nel sonno
E si alza quando quello si desta.
Allora vai, viaggia, Rohita!
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra
La ragione di tutto quel mio muovermi, di quell’andare continuamente fuori in cerca di qualcosa era semplice: io non avevo niente dentro di me. Ero vuoto. Vuoto come è vuota una spugna, pronta però a riempirsi di quello in cui è tuffata. La metti nell’acqua e d’acqua s’imbeve, la inzuppi nell’aceto e diventa acida. Non avessi viaggiato non avrei mai avuto niente da dire, da raccontare; niente su cui riflettere.
Viaggiare mi esaltava, mi ricaricava, mi dava da pensare, mi faceva vivere. […] Ogni volta la sensazione di una scoperta.
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra
Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da tè ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare.
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
Ci sono giorni nella vita in cui non succede niente, giorni che passano senza nulla da ricordare, senza lasciare una traccia, quasi non fossero vissuti. A pensarci bene, i più sono giorni così, e solo quando il numero di quelli che ci restano si fa chiaramente più limitato, capita di chiedersi come sia stato possibile lasciarne passare, distrattamente, tantissimi. Ma siamo fatti così: solo dopo si apprezza il prima e solo quando qualcosa è nel passato ci si rende meglio conto di come sarebbe averlo nel presente. Ma non c’è più.
Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra
Verso la fine del marzo 1845 mi feci prestare una scure e andai nei boschi presso il lago di Walden, il più vicino possibile a dove avevo intenzione di costruirmi la casa, e cominciai ad abbattere pini bianchi, alti e appuntiti e ancora giovani, per farne legname da costruzione. È difficile cominciare qualcosa senza prendere nulla a prestito, ma forse questa è la soluzione più generosa per permettere al prossimo di interessarsi alle nostre imprese. Il proprietario della scure mi disse, consegnandomela, che era il suo gioiello; la restituii più affilata di quando l’avevo ricevuta. Lavoravo su un bel fianco di collina coperto di boschi di pini, attraverso i quali potevo scorgere il lago e un campicello aperto in mezzo ai boschi, dove crescevano pini e noci americane. Nel lago, il ghiaccio non s’era ancora disciolto, sebbene ci fossero spazi aperti, e tutto era di colore scuro e saturo d’acqua. Ci furono leggere tempeste di neve, i giorni in cui lavoravo in quei luoghi, ma quando, tornando a casa, uscivo di là e mi dirigevo verso la ferrovia, i gialli monticelli di sabbia si stendevano scintillanti nell’atmosfera un po’ nebbiosa e le rotaie rilucevano nel sole primaverile, e allora io udivo l’allodola, il vanello e altri uccelli che erano già venuti a cominciare un altro anno con noi. Erano bei giorni di primavera, nei quali “l’inverno dell’umano scontento” si sgelava come la terra, e la vita – che fino allora aveva torpito – incominciava a risvegliarsi. Un giorno, che la scure m’era uscita dal manico e avevo tagliato un pezzo di noce verde per farne un cuneo che poi avevo ribattuto con una pietra, mettendo il tutto, alla fine, a mollo nello stagno perché il legno si gonfiasse, vidi una serpe mudata correre nell’acqua e mettersi a giacere sul fondo, chiaramente a proprio agio, e restarvi per tutto il tempo che io rimasi là presso, cioè per più di un quarto d’ora; forse perché non era ancora uscita dal suo stato di torpore. Allora capii che è per ragioni simili che gli uomini rimangono nella loro attuale condizione, bassa e primitiva; e che – se sentissero sorgere in loro l’influsso vitale della primavera allora si solleverebbero necessariamente a una vita più alta e eterea.
[…] Imparai questo, almeno, dal mio esperimento: che se uno avanza fiducioso nella direzione dei suoi sogni, e cerca di vivere la vita che s’è immaginato, incontrerà un inatteso successo nelle ore comuni. Si lascerà qualcosa alle spalle, passerà un confine invisibile; leggi nuove, universali e più libere cominceranno a stabilirsi dentro e intorno a lui; oppure le leggi vecchie saranno estese e interpretate in suo favore in senso più ampio. Così egli vivrà con la licenza di un più alto ordine di esseri. In proporzione a quanto egli semplifica la sua vita, le leggi dell’universo gli appariranno meno complesse, e la solitudine non sarà tale, né la povertà sarà povertà, né la debolezza debolezza. Se avete costruito castelli in aria, il vostro lavoro non deve andare perduto; è quello il luogo dove devono essere. Ora il vostro compito è di costruire a quei castelli le fondamenta.
Henry David Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi
La natura possiede, io ritengo, un magnetismo sottile in grado di guidarci nella giusta direzione, se ad esso ci abbandoniamo. Non è indifferente scegliere l’una o l’altra strada. Solo una è quella giusta. Vorremmo avanzare lungo quella strada, non ancora percorsa nel mondo reale, che sia il simbolo perfetto del cammino che amiamo intraprendere nel mondo interiore; ed è indubbiamente difficile scegliere la direzione, se essa non è ancora distintamente tracciata in noi.
Henry David Thoreau
Cento motivi reclamano la partenza. Si parte per entrare in contatto con altre identità umane, per riempire una mappa vuota. Si parte perché si è ancora giovani e si desidera ardentemente essere pervasi dall’eccitazione, sentire lo scricchiolio degli stivali nella polvere; si va perché si è vecchi e si sente il bisogno di capire qualcosa prima che sia troppo tardi. Si parte per vedere quello che succederà.
Colin Thubron, Verso la montagna sacra
Il Papalagi* vive in un guscio solido come una conchiglia marina. Vive fra le pietre come la scolopendra fra le fessure della lava. Le pietre sono tutt’intorno a lui, accanto e sopra di lui. La sua capanna somiglia a un cassone di pietra messo in piedi.
Una cassa che ha molti scomparti ed è tutta bucata.
C’è un solo punto in cui si può entrare e uscire da questa cassa di pietra. Questa apertura il Papalagi* la chiama ingresso quando entra nella capanna, uscita quando ne esce fuori, sebbene entrambe siano una sola e unica cosa. […]
Questi cassoni di pietra si trovano spesso molto numerosi l’uno accanto all’altro, come uomini spalla a spalla, e in ciascuno vivono tanti Papalagi* quanti ce ne sono in un villaggio delle Samoa. A un tiro di pietra, dalla parte opposta, si leva un’altra fila di uguali cassoni, anch’essi spalla a spalla, e anche in questi abitano tante persone. Così fra le due file c’è soltanto una sottile fessura, che il Papalagi* chiama strada. Questa fessura spesso è larga quanto un fiume e coperta di dure pietre. Bisogna camminare a lungo per trovare un tratto libero; ma qui sfociano altre fessure frammezzo ad altre case. Anche queste sono lunghe come ampi corsi d’acqua dolce e le loro aperture laterali sono anch’esse fessure di pietra del la stessa lunghezza. Così si può camminare per giorni interi in queste fessure fino a perdersi, prima di arrivare a vedere un bosco o un pezzo di cielo azzurro. Fra le fessure solo di rado si vede il vero colore del cielo poiché, dal momento che in ogni capanna si trova un fuoco e spesso anche molti fuochi, l’aria è sempre piena di fumo e di cenere come per l’eruzione di un grande cratere. Quest’aria piove giù nelle fessure, così che gli alti cassoni di pietra sembrano melma delle paludi e gli uomini hanno terra nera negli occhi e nei capelli e sabbia fra i denti.
Tuiavii di Tiavea (capo delle isole Samoa), Papalagi*
(*) Papalagi è il termine usato per indicare l’uomo occidentale
Il viaggio è finito e ha trovato il suo posto tra le cose che appartengono al passato. Ma le diverse situazioni e i molteplici avvenimenti indugeranno piacevolmente nella nostra memoria per anni. Alcune delle immagini che abbiamo apprezzato si pongono al di sopra delle altre e si manterranno perfette nella coloritura e nel disegno anche dopo che i loro contorni saranno svaniti.
Mark Twain
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.
Giuseppe Ungaretti, Allegria di naufragi
Mare fanciullo insaziato di giuoco,
vecchio mare insaziato di pianto,
tu che sei lampo e fango
e cielo e sangue e fuoco,
oggi hai lasciato alle lente rive
orgoglio e forza, gaiezza e dolore:
oggi non sei che colore,
un bel colore che vive.
Diego Valeri, Mare colore
Che puro gioco di lampi sottili
consuma ogni diamante
d’impalpabile schiuma,
e quanta pace che sia nata sembra;
quando sopra l’abisso un sole posa,
opere schiette d’una causa eterna,
scintilla il tempo e il sogno è conoscenza.
Paul Valèry (1923)
L’oceano sonoro
Palpita sotto l’occhio
Della luna in lutto
E palpita ancora,
Mentre un lampo
Vivido e sinistro
Fende il cielo di bistro
D’un lungo zigzag luminoso,
E che ogni onda
In salti convulsi
Lungo tutta la scogliera
Va, si ritira, brilla e risuona.
E nel firmamento,
Dove erra l’uragano,
Ruggisce il tuono
Formidabilmente.
Paul Verlaine, Marina (1866)
«Voi amate il mare, capitano?»
«Si, l’amo!
Il Mare è tutto. Copre i sette decimi del globo terrestre; il suo respiro è puro e sano; è l’immenso deserto in cui l’uomo non è mai solo, perché sente fremere la vita al suo fianco. Il mare non è altro che il veicolo di un’esistenza prodigiosa; non è che movimento e amore, è l’infinito vivente. Nel mare è la tranquillità suprema.
Il mare non appartiene ai despoti, che possono esercitare solo alla sua superficie diritti iniqui e battersi, e divorarsi, e trasportarvi tutti gli orrori della terra, ma a trenta piedi sotto il suo livello, il loro potere cessa, la loro influenza si estingue, tutta la loro potenza svanisce!
Ah! signore, vivete, vivete in mezzo ai mari! Qui soltanto è indipendenza, qui non riconosco padroni, qui sono libero!»
Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari
Come urla il vento attraverso l’attrezzatura di un bastimento a vela! E come è magnifico il suo suono! Per quanto a noi porti soltanto lavoro: duro, pericoloso, tremendo. Lavoro erculeo di un tal genere che la gente a terra non può comprendere: e tuttavia noi possiamo sentire l’esaltazione dell’urlo del vento nel sartiame d’acciaio del veliero. Era una disperata battaglia già perduta all’inizio questa lotta fra un gruppo di ragazzi e un uomo o due e tutta la furia di una tempesta dell’emisfero Sud. Ma se sapevamo benissimo che era una lotta disperata, non potevamo ammettere di averla perduta. E continuammo. […] Allora non avevamo tempo di pensare al coraggio, ma solo di continuare a combattere. E combattemmo e perdemmo; ma finalmente arrivò un momento di stanca un poco più lungo degli altri, e combattemmo e vincemmo…
Alan Villiers
Al sorgere del vento subito le onde del mare scomposte cominciano a gonfiarsi, e secco sugli alti monti un fragore si fa udire, o di lontano risonanti le spiagge rimbombano e il sibilo dei boschi si fa più intenso. Ormai i flutti non sono più governati dalle ricurve carene, quando veloci i merghi lasciano l’alto mare e portano i loro gridii alle spiagge, e quando le folaghe marine giocano all’asciutto, e l’airone, sorvolando le nuvole alte, lascia le ben note paludi.
Virgilio, 30 a.C.
Salpa – dirigi il corso dove il mare è profondo,
esplora audacemente. Anima mia, io con te, tu con me,
siamo, infatti, diretti dove neppure un marinaio
ha osato avventurarsi mai,
e rischieremo nave, noi stessi, tutto.
Anima coraggiosa!
Salpa, salpa più al largo! Audace gioia, eppure sicura!
Non sono forse d’Iddio tutti i mari?
Oh, più al largo, più al largo, ancora più al largo!
Walt Whitman, Passaggio in India
Ora un finale sulla riva,
ora un finale e un addio alla terra ed alla vita,
ora Viaggiatore parti, (molto, molto è ancora tenuto in serbo per te)
spesso abbastanza ti sei avventurato sui mari,
cauto incrociando, studiando le carte,
ritornando debitamente al porto e agli ormeggi;
ma ora obbedisci al segreto desiderio che hai nutrito nel cuore,
abbraccia i tuoi amici, lascia tutto in ordine,
per non tornare più al porto e agli ormeggi,
parti per la tua crociera senza fine, vecchio Marinaio.
Walt Whitman
1
A piedi e col cuor leggero m’avvio per la strada aperta
sano, libero, il mondo dinanzi a me,
dinanzi a me il lungo sentiero bruno pronto a condurmi ovunque io voglia.
D’ora in poi non chiedo più fortuna, sono io la fortuna,
d’ora in poi non voglio più lamentarmi, non più rimandare, né aver bisogno di nulla,
finiti i lamenti celati, le biblioteche, le querule critiche,
forte e contento io cammino per la strada aperta.
La terra, e tanto mi basta;
non voglio le costellazioni più vicine, so che stanno bene dove sono,
so che bastano a chi appartiene ad esse.
(Anche qui io mi carico dei miei vecchi dolci fardelli,
li porto, uomini e donne, e li porto con me ovunque io vada,
Io giuro, mi è impossibile liberarmi di loro,
io sono pieno di loro e li riempirò a mia volta.)
2
Sei tu la strada che io percorro mentre mi guardo attorno, ma tu non sei tutto ciò che c’è qui, credo che qui ci sia anche qualcosa che non si vede.
Qui la lezione profonda dell’accoglienza, senza preferenze né rifiuti, il nero con il capo lanoso, il malfattore, il malato, l’ignorante non sono rifiutati,
Il nascere, il correre dietro al medico, lo zoppicare del mendicante, il barcollare dell’ubriaco, l’allegro gruppo di meccanici,
Il giovane fuggiasco, la carrozza del ricco, il donnaiolo, la coppia clandestina,
Il mercante mattiniero, il carro funebre, il trasloco in città, il rientro dalla città,
Tutto passa e passo anch’io, ogni cosa passa e nulla può essere fermato,
Nessuno che non sia accettato, nessuno che non mi stia a cuore.
3
Tu aria che mi dai il fiato per parlare!
Voi, oggetti che ridestate i miei concetti confusi e date loro forma!
Tu luce che avvolgi me e ogni cosa in una delicata pioggia uniforme!
Voi animali che sereni camminate sulla terra!
Voi uccelli che andate volando nell’aria! Voi insetti!
Voi germogli che nascete nelle terre dei contadini! Voi fili d’erba e radici lungo le staccionate!
Voi sentieri tracciati nei solchi accidentati ai lati delle strade!
Credo che teniate nascoste strane realtà – voi che mi siete così cari.
Voi, strade lastricate delle città! Voi solidi cigli dei marciapiedi!
Voi vaporetti! Voi tavole e pali sui moli! Voi fianchi ricoperti di assi!
Voi navi distanti! Voi file di case! Voi facciate crivellate da finestre! Voi tetti!
Voi porticati e ingressi! Voi cornicioni e griglie in ferro!
Voi finestre che dal guscio trasparente potreste svelare così tante cose!
Voi porte e scalinate! Voi archi! Voi pietre grigie di selciati interminabili! Voi incroci calpestati!
Da tutto ciò che vi è passato accanto credo che abbiate assorbito ciò che ora cercate di passare segretamente a me,
Di vivi e di morti avete popolato le vostre superfici impassibili, e i loro spiriti si faranno vedere e amare da me.
4
La terra che si estende a destra e a sinistra,
Il quadro vivo, ogni particolare nella sua luce migliore,
La musica che si posa dove è richiesta, e tace dove non è voluta,
L’allegro vocio della strada pubblica – il gaio fresco sentimento della strada.
Strada maestra che io percorro, mi dici forse, Non mi lasciare?
Mi dici forse, Non ti avventurare? Se mi lasci sei perduto?
Mi dici forse, Sono già pronta – sono ben battuta e a tua disposizione – Resta con me?
Strada pubblica, io ti rispondo. Non ho paura di lasciarti – anche se ti amo,
Tu mi esprimi meglio di quanto io sappia esprimermi, Tu sarai per me più della mia stessa poesia.
Credo che tutti gli atti eroici siano stati concepiti all’aria aperta, e così pure i liberi poemi,
Credo che potrei fermarmi qui e fare miracoli,
Credo che mi piacerà tutto ciò che incontrerò sulla strada, e che piacerò a chiunque mi guarderà,
Credo che chiunque io veda debba essere felice.
5
D’ora in poi, mi chiamo libero da limiti e linee immaginarie!
Vado dove voglio – padrone di me stesso, totale e assoluto,
Ascolto gli altri, valutando bene ciò che dicono,
Mi soffermo, ricerco, ricevo, contemplo,
Gentile ma estremamente fermo, mi libero dai vincoli che mi trattengono.
Inspiro profonde boccate d’aria,
L’est e l’ovest sono miei, e il nord e il sud sono miei.
Sono più grande di quanto pensassi!
Non pensavo di possedere tanta bontà!
Tutto mi sembra bello,Posso ripetere a uomini e donne, Avete fatto così tanto bene a me, che ora vorrei fare lo stesso per voi.
Voglio fare proseliti per me e per voi mentre cammino,
Voglio sperdermi fra uomini e donne mentre cammino,
Voglio gettare una gioia e un impeto nuovo in mezzo a loro;
Chi mi respinge, non potrà turbarmi,
Chi mi accetta, uomo o donna sarà benedetto e mi benedirà.
6
Ora, se dovessero apparire mille uomini perfetti, non mi stupirebbero,
Ora, se dovessero apparire mille bellissime forme di donne, non mi stupirebbero.
Ora conosco il segreto di come si fanno le persone migliori,
Che è di crescere all’aria aperta, e mangiare e dormire in armonia con la terra.
Qui, spazio – qui una grande impresa personale trova spazio,
Una grande impresa colpisce i cuori di tutta la razza umana,
La sua effusione di forza e volontà supera ogni legge e deride ogni autorità, ogni argomento contrario.
Questo, l’esame della saggezza,
La saggezza non deve essere esaminata nella scuola,
La saggezza non può essere trasferita da chi la possiede a chi non la possiede,
La saggezza appartiene all’anima, non è suscettibile di prove, è lei la prova,
Si applica ad ogni fase, oggetto, qualità, ed è soddisfatta,
È la certezza della realtà, dell’immortalità e dell’eccellenza delle cose,
E c’è qualcosa nella sua fluttuante visione che la spinge fuori dall’anima.
Ora riesamino filosofie e religioni,
Possono esser giuste nelle aule scolastiche, ma non lo sono per nulla sotto le nuvole spaziose, lungo i paesaggi e le acque fluenti.
Questa è realizzazione,
Questo è un uomo sotto osservazione – che qui capisce ciò che ha dentro di sé,
Gli animali, il passato, il futuro, luce, spazio, maestà, amore, se loro sono senza di te, anche tu sei senza di loro.
Solo il seme di ogni oggetto ha nutrimento;
Dov’è chi ne toglie l’involucro per te e per me?
Dov’è chi sa sciogliere legami e stratagemmi per te e per me?
7
Qui c’è attaccamento – che non è preordinato, ma arriva al momento giusto;
Lo sai che significa, quando passi, l’essere amato da estranei?
Lo sai il significato di quel volgere lo sguardo? Qui c’è l’effusione dell’anima,
L’effusione dell’anima passa dalle splendide porte della legge e sollecita le domande:
Questi aneliti, perché ci sono? Questi pensieri al buio, perché ci sono?
Perché, quando ci sono uomini e donne che stanno vicino a me, la luce del sole dilata il mio sangue?
Perché, quando mi abbandonano, i miei pennoni di gioia ciondolano flosci e inerti?
Perché ci sono alberi alla cui ombra non ho mai camminato senza che alti pensieri melodiosi siano scesi su di me?
(Credo che aleggino, d’inverno e d’estate, su questi alberi e facciano cadere sempre dei frutti al mio passare);
Che cos’è che io scambio così all’improvviso con degli estranei?
Con un cocchiere mentre viaggio seduto al suo fianco?
Con un pescatore che trascina la sua rete a riva, mentre gli passo vicino e mi fermo?
Cosa mi rende disponibile all’amicizia di una donna o di un uomo?
Cosa li rende disponibili alla mia?
8
L’effusione dell’anima è felicità – qui è la felicità,
Credo che pervada l’aria, sempre in attesa,
E ora scorre in noi – che giustamente ne siamo caricati.
Qui nasce il carattere fluido e attraente;
E l’attraente, fluido carattere è la fresca dolcezza dell’uomo e della donna,
E l’erba del mattino non spunta ogni giorno più fresca e più dolce dalle sue radici, di quanto il carattere non spunti sempre fresco e dolce dalle sue.
Verso il carattere fluido e attraente trasuda il sudore amoroso di giovani e vecchi,
Da lui piove distillato l’incanto che si fa gioco della bellezza e del talento,
Verso di lui si tende il fremente spasmodico desiderio di contatto.
9
Su andiamo! Chiunque tu sia, vieni via con me!
Se viaggi con me, troverai ciò che non stanca mai.
La terra non stanca mai!
La terra è rozza, silenziosa, incomprensibile all’inizio – anche la natura è rozza e incomprensibile all’inizio,
Non ti scoraggiare – va avanti – che ci sono cose divine, ben nascoste,
Ti giuro che ci sono cose divine più belle di quanto le parole possano dire!
Su andiamo! Non dobbiamo fermarci qui!
Per quanto invitante questa raccolta di provviste, per quanto comoda questa dimora, non possiamo restare qui!
Per quanto riparato questo porto, per quanto calme queste acque, non possiamo ancorare qui!
Per quanto accogliente questa ospitalità che ci avvolge, noi possiamo goderne solo per poco.
10
Su andiamo! Gli stimoli saranno maggiori,
Veleggeremo per mari selvaggi e inesplorati,
Andremo dove ci porta il vento, dove si frangono le onde, e dove il clipper yankee fila a vele spiegate.
Su andiamo! Con forza, libertà, con la terra e gli elementi!
Con salute, sfida, gioia, amor proprio, curiosità!
Su andiamo! Lontano da ogni regola!
E dalle vostre regole, o preti materialisti, ciechi come talpe!
Il cadavere putrefatto blocca il passaggio – la sepoltura non può più attendere.
Su andiamo! Ma stai attento!
Chi viaggia con me ha bisogno del suo sangue migliore, di muscoli e resistenza,
Nessuno, né lui né lei, può affrontare la prova se non ha coraggio e salute.
Non venire se hai già speso la parte migliore di te!
Possono venire solo quelli che hanno corpi puri e decisi,
Né infermi – né alcolizzati, né quelli con malattie veneree sono accettati qui,
Io e i miei versi non convinciamo con argomenti, similitudini o rime,
Ma convinciamo con la nostra presenza.
11
Ascolta, sarò sincero con te,
Io non ho da offrire antichi facili premi, ma offro premi nuovi e difficili,
E questi sono i giorni che dovrai passare:
Tu non ammasserai ciò che si chiama ricchezza,
Tu distribuirai con mano generosa ciò che guadagni o ottieni,
Tu, appena arrivato nella città a cui eri destinato – appena sistemato e a tuo agio, già sentirai irresistibile un richiamo a partire,
Tu dovrai sopportare risatine ironiche e derisioni da quelli che rimangono indietro,
Agli inviti d’amore che ricevi, potrai solo rispondere con appassionati baci d’addio,
E non dovrai permettere che ti fermino quelli che allungano le loro mani su di te.
12
Su andiamo! Dietro ai grandi! Per diventare come loro!
Anche loro sono in cammino, sono gli uomini veloci e maestosi, sono le donne migliori!
Al di sopra di quello che li ha ostacolati, al di sopra di quello che li ha rallentati, lasciando passare ostacoli grandi o piccoli,
Esecutori di crimini o di molte straordinarie virtù,
Amanti del mare in bonaccia e del mare in tempesta,
Marinai di molte navi, percorritori di molte miglia di terra,
Abitanti di molti paesi diversi, abitanti di dimore lontane,
Pieni di fiducia in uomini e donne, osservatori di città, soli nella fatica,
Fermi a contemplare zolle, germogli o conchiglie sulla spiaggia,
E danzano ai matrimoni e baciano le spose, e con tenerezza aiutano i bambini, e li portano in braccio,
Soldati nelle rivoluzioni, in piedi sulle tombe spalancate, chini sulle bare da seppellire,
Viaggiatori per tante stagioni, per tanti anni – anni strani, che emergono ognuno da quello precedente,
Viaggiatori che sembrano in compagnia, ma solo di se stessi nelle loro diverse fasi,
Fanno passi in avanti dai latenti e irrealizzati giorni dell’infanzia,
Viaggiatori felici con la loro giovinezza – viaggiatori con la loro barbuta e segnata maturità,
Viaggiatrici con una femminilità grande, insuperabile, soddisfatta,
Viaggiatori con una sublime vecchiaia, maschile o femminile,
Vecchiaia calma, distesa, piena della superba vastità dell’universo,
Vecchiaia che trascorre libera, con vicina e dolce la libertà della morte.
13
Su, andiamo! Verso ciò che è senza fine come era senza principio!
Per sopportare molto, marce di giorni, riposi di notti!
Per far confluire tutto nel viaggio a cui mirano e nei giorni e nelle notti a cui mirano!
E di nuovo per farli confluire nella partenza per viaggi migliori!
Per non veder nulla se non ciò che si può raggiungere e oltrepassare!
Per concepire solo quel tempo che, per quanto lontano, tu possa raggiungere e oltrepassare!
Per guardare su e giù solo sulla strada che si snoda e si ferma per te! E che, per quanto lunga, si snoda e si ferma per te!
Per non vedere nessun essere, né divino né altro, che tu non possa raggiungere!
Per non vedere proprietà se non quelle che puoi possedere! godendoti tutto, senza fatica o spesa – prescindendo dalla festa, senza però prescindere da nessuna sua piccola parte;
Per cogliere il meglio dalla fattoria del contadino, dalla villa elegante del ricco, dai puri doni del cielo della coppia felicemente sposata, dai frutti dell’orto e dai fiori del giardino!
Per prendere ciò che ti serve dalle città affollate che attraversi!
Per portarti poi dietro case e strade ovunque tu vada!
Per raccogliere idee dai cervelli degli uomini che incontri! Per raccogliere amore dai loro cuori!
Per portare i tuoi amanti sulla strada con te, anche se te li lasci dietro alle spalle!
Per vedere l’universo come una strada – come tante strade – come strade per anime in viaggio!
L’anima viaggia, il corpo non viaggia quanto l’anima,
Il corpo lavora quanto l’anima, e alla fine si fa da parte per i viaggi dell’anima.
Tutto si fa da parte per il progresso delle anime,Tutte le religioni, le sostanze, le arti, i governi – tutto quello che era o che è apparente in questo o in ogni globo, si dispone in nicchie e angoli davanti al procedere delle anime lungo le grandi strade dell’universo,
Del progredire delle anime degli uomini e delle donne lungo le grandi strade dell’universo, ogni altro progredire è l’emblema essenziale e il sostentamento.
Sempre vivi e sempre in avanti,
Maestosi, solenni, tristi, in disparte, perplessi, pazzi, turbolenti, deboli, insoddisfatti,
Disperati, fieri, appassionati, malati, dagli uomini accettati, dagli uomini rifiutati,
Vanno e vanno! So che vanno, ma non so dove,
Però so che vanno verso il meglio – verso qualcosa di grande.
Su, andiamo! Chiunque tu sia! Vieni avanti!
Non devi rimanere in casa, anche se l’hai costruita tu, o è stata per te costruita.
Su, andiamo! Fuori dal nero confine!
È inutile che protesti – io so tutto, e lo rivelo.
Guardo attraverso te, malvagio come gli altri!
Attraverso le risate, le danze, i pranzi e le cene della gente,
Sotto i vestiti e i gioielli, dietro a quei visi lavati e truccati,
Vedo un segreto muto disprezzo e la disperazione!
Né marito, né moglie, né amico, né amante così fidato da ascoltare la confessione,
Un altro se stesso, un duplicato di ciascuno, se ne va furtivo e nascosto, se ne va aperto e leale,
Senza forma e parole per le vie della città, educato e cortese nei salotti,
Nelle carrozze dei treni, sui vaporetti, nelle assemblee pubbliche,
A suo agio nelle case di uomini e donne, fra le loro famiglie, a tavola, a letto, ovunque,
Ben vestito, sorridente, eretto, con la morte sotto lo sterno, l’inferno dentro la scatola cranica,
Sotto l’ampio abito e i guanti, sotto i nastri e i fiori artificiali,
Rispettoso dei costumi, senza mai dire nulla di sé,
Pronto a parlare di tutto meno che di sé.
14
Su, andiamo! Fra lotte e battaglie!
La meta fissata non può ora venire annullata.
Hanno avuto successo le lotte passate?
Cosa ha avuto successo? Forse tu? La tua patria? o la natura?
Ora ascoltami bene – è nella natura delle cose che da ogni successo, qualunque esso sia, ne derivi qualcosa che renda necessario un impegno maggiore.
Il mio è il richiamo alla battaglia – io alimento la ribellione attiva,
Chi viene con me deve venire ben armato,
Chi viene con me si trova spesso a regime frugale, in povertà, con nemici accaniti, fra dispute.
15
Su, andiamo! La strada è qui, davanti a noi!
È sicura – l’ho provata – con i miei piedi l’ho ben provata!
Su, andiamo! Non perdere tempo!
Lascia il foglio non scritto sul tavolo, e il libro chiuso sullo scaffale!
Lascia gli attrezzi nell’officina! Lascia che i soldi non sian guadagnati!
Lascia la scuola! Non ascoltare le grida del maestro!
Che il predicatore predichi dal suo pulpito! che l’avvocato arringhi nella corte e il giudice presenti la legge!
Ecco figliolo, ti do la mano!
Ti do il mio amore, prezioso più del denaro,
Ti do me stesso, al posto di regole o prediche;
Ti darai tu a me? Vuoi venire in viaggio con me?
Resteremo fedeli l’un l’altro per tutta la vita?
Walt Whitman, “Song of the Open Road”
Una mappa del mondo che non includa Utopia non merita neppure uno sguardo, poiché lascia fuori il solo paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando l’Umanità vi approda, spinge oltre lo sguardo e, scorgendo un paese ancora migliore, alza la vela. Il progresso non è altro che l’avverarsi dell’utopia.
Oscar Wilde